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Una PAC per un nuovo progetto europeo

Il prossimo 23 febbraio il Consiglio Europeo discuterà il documento della Commissione sulle prospettive finanziarie dell'Unione e inevitabilmente partirà il confronto sulle riforme delle istituzioni e delle politiche comuni. Sarebbe bene considerare la Pac uno strumento da riservare esclusivamente all'Europa rafforzata e integrata e non più all'insieme dell'Unione

Agricoltura-familiare

La Commissione Europea ha presentato un documento sulle prospettive finanziarie dell’Ue. In esso si suggerisce dove tagliare e dove reperire i fondi per il bilancio comunitario 2021/2027. Il testo sarà al centro dei lavori del vertice informale dei 27 capi di Stato o di governo Ue in agenda il 23 febbraio prossimo. Entro i primi giorni di maggio arriverà poi la proposta definitiva della Commissione sul bilancio pluriennale. Il tema non riguarda solo il buco di 11 miliardi l’anno quando il Regno Unito avrà esaurito il periodo transitorio post Brexit. La Coldiretti prende un abbaglio quando paventa che l’agricoltura sia chiamata a pagare il conto della Brexit. Il negoziato sulle prospettive finanziarie dovrà necessariamente accompagnarsi con quello riguardante il rafforzamento dell’assetto istituzionale, senza il quale l’Europa è destinata ad implodere insieme alle sue vecchie politiche, compresa la Pac. Come ha ricordato più volte e con forza Giorgio Napolitano, uno dei pochi esponenti politici con una visione strategica dell’integrazione europea, la Ue non potrà rimanere a lungo prigioniera dei veti interni, esercitati principalmente dai Paesi anti-europeisti a cui guardano i nostri populisti. L’ipotesi più probabile è che, per iniziativa di Francia e Germania, si andrà entro le elezioni europee del 2019 verso un’Europa a due velocità o, meglio, verso due Europe, quella coincidente con l’Eurozona e quella allargata ai Paesi che non intendono farne parte. Dotarsi di istituzioni democratiche di governo nell’Eurozona, in materie fondamentali come la difesa, la sicurezza, la crescita e l’occupazione, significa necessariamente una diversa distribuzione dei finanziamenti pluriennali del suo bilancio e, conseguentemente, una Pac completamente nuova rispetto a quella che abbiamo conosciuto finora. Una Pac più forte e integrata per i Paesi dell’Eurozona e una Pac più tenue e con meno risorse per i Paesi anti-europeisti.

Gli agricoltori italiani hanno, dunque, tutto l’interesse a partecipare al dibattito sul rafforzamento dell’Europa, respingendo e battendo le velleitarie e pericolose ipotesi “sovraniste” che porterebbero l’Italia ad autoescludersi dall’Europa più integrata. Si tratta di individuare con precisione le regole e gli interventi che devono rimanere in vigore per l’insieme dei 27 Paesi dell’Unione, gli elementi della Pac che necessariamente devono essere gestiti da un’Europa rafforzata nei suoi poteri e quelli che, in base al principio di sussidiarietà, potrebbero con maggiore efficacia essere amministrati dagli Stati nazionali. Non ha senso ed è pericoloso collocarsi in una posizione difensiva. Occorre invece esprimere, come sistema Paese, una vigorosa capacità propositiva. L’Italia sta per decidere, con le elezioni politiche del 4 marzo prossimo, se diventare l’alleato meridionale del Gruppo di Visegrad oppure un Paese protagonista di un’Europa più integrata. In tale scenario, all’agricoltura italiana conviene non solo fare una scelta di campo chiaramente europeista, ma indicare anche un proprio disegno organico di architettura dell’intervento pubblico europeo per il settore.

 Le proposte in campo

La Commissione Europea propone di tagliare i fondi di coesione e la PAC per finanziare altre politiche, come la sicurezza, la difesa, le tecnologie digitali e la mobilità dei giovani. Una posizione coerente con un’impostazione volta a difendere il più possibile lo status quo sul piano degli assetti istituzionali. Ma con la chiara coscienza che qualcosa nel profondo bisognerà comunque ritoccare. Del resto, basta guardare la ripartizione dei finanziamenti pluriennali 2014-2020 per rendersi conto del distacco tra l’Europa esistente e quella che dovrebbe essere per fronteggiare le nuove sfide. L’attuale bilancio prevede finanziamenti pluriennali che ammontano a 1.087 miliardi di euro. Essi sono così ripartiti:  420 alla politica agricola e alla pesca (39%), 371,4 alla politica di coesione (34%), 142,1 al sostegno della competitività per la crescita e il lavoro (13%), 69,6 all’amministrazione (6%), 66,3 alla politica globale e alla cooperazione internazionale (6%).

Il ministro francese delle Finanze, Bruno Le Maire, in una recente intervista, ha dichiarato: “Partiamo con l’unione bancaria, l’unione dei capitali e la convergenza fiscale. Poi rafforziamo il Fondo salva-Stati (Esm) e vediamo se trasformarlo in un fondo monetario europeo… Quindi mettiamo insieme risorse fiscali per costituire una capacità di risposta comune a crisi macroeconomiche. L’ultimo passaggio sarà l’istituzione di un ministro delle finanze dell’Eurozona”. Si tratta di un progetto ambizioso.

Per la Pac post 2020, la Commissione Europea ha già annunciato con la Comunicazione “Il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura” una posizione estremamente difensiva e immobilistica. Il cuore del documento rimane all’interno di una logica di sussidi basati sul possesso della terra a conferma, nella sostanza, dell’attuale impianto della Pac. La lista di ambiziosi e condivisibili obiettivi orientati al lungo termine stride con la modestia dei mezzi mobilitati per perseguirli. Si perpetua e si difende la logica degli interventi di breve termine, riguardo ai quali peraltro si riconosce come l’efficacia sia modesta e la distribuzione sia squilibrata a beneficio di percettori niente affatto prioritari. Si afferma, è vero, l’intenzione di smussare le punte di questa distribuzione e di favorire gli agricoltori più meritevoli di sostegno ma, come si è già sperimentato con la convergenza interna e con il greening (commisurato in Italia così come in tanti altri Stati membri al pagamento base), potenti lobby sono pronte ad attivarsi per difendere, assieme ai pagamenti diretti, anche la loro squilibrata ed iniqua distribuzione.

Nel suo famoso discorso alla Sorbona del 26 settembre 2017, Emmanuel Macron ha espresso giudizi molto severi sulla Pac. Vediamo  come testualmente si esprime il presidente francese: “La nostra politica agricola comune protegge davvero i nostri agricoltori e i nostri consumatori? La politica agricola non deve essere una politica di super-amministrazione di tutti i territori dell’Unione; troppo spesso è una politica del reddito che accompagna approssimativamente le transazioni, e che produce degli schemi complessi che abbiamo difficoltà a spiegare ai nostri popoli. La politica agricola europea deve permettere di far vivere degnamente gli agricoltori e proteggerli dalla volatilità del mercato e dalle grandi crisi. Ci saranno sempre più modelli agricoli in Europa e mi piacerebbe che ogni Paese possa accompagnare questa trasformazione secondo le proprie ambizioni e preferenze. In altri termini, vorrei che noi concepissimo una politica agricola comune che lasci più flessibilità ai Paesi per organizzare la vita dei loro territori e della loro filiere, e che elimini la burocrazia. Bisogna quindi stabilire una forza europea di inchiesta e di controllo per lottare contro le frodi, garantire la sicurezza alimentare, assicurare il rispetto degli standard di qualità”. Queste considerazioni potrebbero essere tranquillamente sottoscritte da chiunque abbia a cuore le agricolture europee.

Per battere il conservatorismo delle posizioni della Commissione, le componenti agricole più innovative dovrebbero legare strettamente il dibattito sui nuovi assetti istituzionali europei a quello sulle politiche. Le recenti posizioni maturate in Francia e l’accordo per la coalizione di governo tra Angela Merkel e la Spd in Germania favoriscono tali connessioni. Quando Macron pone l’esigenza di rafforzare la sovranità europea e, dunque, di individuare nuove priorità finanziarie, sollecitando una profonda riforma della Pac e della Politica di Coesione, apre il varco ad un confronto a tutto campo a cui le forze riformiste ed europeiste dovrebbero partecipare con una chiara visione rivolta al cambiamento.

Prime idee per una Pac sdoppiata

Nei trattati, l’unione doganale, la politica commerciale comune e la conclusione di accordi internazionali sono chiaramente individuate come competenze esclusive dell’Unione. In materia di sicurezza degli alimenti, gli Stati membri hanno, nel tempo, attribuito all’Unione Europea una serie di competenze delimitate in modo abbastanza lindo, le quali rispondono a due obiettivi ben specificati: 1) proteggere la salute umana e gli interessi dei consumatori; 2) favorire il corretto funzionamento del mercato unico europeo. In tale quadro, l’Unione Europea provvede affinché siano definite (e rispettate) norme di controllo nei settori dell’igiene dei prodotti alimentari e dei mangimi, della salute animale e vegetale e della prevenzione della contaminazione degli alimenti da sostanze esterne. L’Unione Europea disciplina altresì l’etichettatura dei generi alimentari e dei mangimi. Tali competenze è bene che continuino ad essere attribuite al livello istituzionale europeo per l’insieme dei 27 Paesi dell’Unione.

Per la materia agricoltura occorre, invece, uno sdoppiamento. Andrebbero estrapolate dall’attuale Pac quelle competenze che si legano effettivamente ad obiettivi raggiungibili esclusivamente mediante una politica comune. Tutte le altre competenze andrebbero attribuite esplicitamente agli Stati membri per il semplice motivo che solo questi possono effettivamente governare la convivenza virtuosa e non conflittuale della pluralità delle agricolture europee.

La Pac andrebbe, pertanto, fortemente semplificata e ridotta ad alcuni interventi essenziali e configurabili come effettiva politica comune: 1) sostegno e coordinamento del sistema della conoscenza e dell’innovazione nelle molteplici agricolture europee; 2) sostegno del sistema assicurativo per gestire i rischi degli agricoltori derivanti dalla volatilità dei prezzi e dai cambiamenti climatici; 3) coordinamento tra i primi due interventi e le altre politiche comuni. I suddetti interventi dovrebbero essere riservati esclusivamente ai Paesi dell’Eurozona con risorse finanziarie adeguate alle necessità.

Una scelta incentrata sulla conoscenza, sul capitale umano e sull’innovazione comporta l’integrazione dello sviluppo rurale nella politica regionale. Lo sviluppo rurale ha svolto finora la funzione di trattenere nell’ambito della Pac i sostegni agli investimenti. Ma questi, per essere efficaci, dovrebbero essere destinati non più agli agricoltori ma ai sistemi territoriali, in cui le molteplici agricolture s’intrecciano con gli altri settori produttivi e coi sistemi di welfare.

Anche la politica regionale andrebbe fortemente semplificata e ridotta essenzialmente alle grandi opere infrastrutturali. Mentre la politica di sviluppo locale – nel quadro di un sostegno finanziario per la Coesione – dovrebbe più coerentemente rientrare tra le competenze nazionali, regionali e locali.

Le molteplici agricolture europee avrebbero tutto l’interesse ad una riorganizzazione delle istituzioni, delle competenze e degli obiettivi in agricoltura che vada in tale direzione, per poter esprimere nei sistemi locali pienamente le proprie potenzialità e peculiarità. Ma non devono immaginare che la politica non abbia più spazio nella globalizzazione e che sia sufficiente esprimere consapevolezza e senso di responsabilità solo nei comportamenti individuali senza tentare di incidere negli assetti istituzionali sovranazionali. Gli attori delle agricolture europee dovranno sempre più reinventare la funzione primaria dell’agricoltura che è stata, fin dalle origini, quella di generare comunità e istituzioni con cui le comunità umane hanno agito per il «ben vivere» nel mondo.

L’agricoltura può svolgere un ruolo di laboratorio fondamentale dell’ulteriore processo di integrazione europea, così come egregiamente lo svolse, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando l’obiettivo comune dei sei Paesi fondatori era l’autosufficienza alimentare. Ma, una volta conseguito il traguardo già alla fine degli anni Settanta, la Pac dismise quella funzione e incominciò a perseguire, in modo contraddittorio e confuso, interessi particolaristici, legati ad una molteplicità di modelli e sistemi agricoli. Una varietà difficilmente riconducibile ad una convivenza armonica mediante una politica comune, caratterizzata dal principio di unicità. Se si prende finalmente coscienza che da sempre la peculiarità dell’agricoltura europea è nella varietà dei suoi modelli e che sta qui la sua forza originaria anche nel confronto con le altre agricolture del pianeta, si potrà dare effettivamente impulso ad un’Europa sovrana, unita e democratica.

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