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Renzi e l’educazione a governare

Alla Festa dell'Unità di Milano un discorso da leader del centrosinistra europeo. Ma ora occorre fare del PD una palestra di educazione a governare con il coinvolgimento dei cittadini. Altrimenti anche un partito riformista si trasforma inesorabilmente in un covo mafioso

milano

Il discorso che Matteo Renzi ha pronunciato alla Festa dell’Unità di Milano è stato il discorso di un leader che guarda ai problemi del Paese e dell’Europa in perfetta sintonia coi valori di libertà, equità e fraternità delle grandi correnti culturali e politiche del centrosinistra europeo.

Mi è piaciuto il modo come il premier ha legato l’uno all’altro i vari argomenti, partendo da quelli che riguardano le persone più in difficoltà. E mi ha colpito soprattutto la nettezza delle affermazioni. È apparso del tutto evidente che le scelte su cui il governo sta lavorando, non sono il frutto dell’improvvisazione, né di mediazioni estenuanti, tese ad annacquarne la portata fino a svilirle.

Emerge nello sfondo un paradigma nuovo che il Lingotto aveva abbozzato e che, purtroppo, le vicende interne al PD avevano fatto accantonare per tornare a più tranquilli percorsi di continuità con il passato.

Ma questo paradigma nuovo non è ancora diventato cultura politica diffusa nel partito. E soprattutto non si alimenta dell’apporto dei cittadini e della società. È questo il limite di fondo che oggi va superato. Manca nel Pd un’azione educativa e formativa che coinvolga tutti, una funzione di autoapprendimento collettivo che riguardi i gruppi dirigenti a tutti i livelli e i singoli circoli. Mancano centri diffusi di elaborazione di proposte e gruppi di studio che facciano inchiesta sociale nei quartieri  e nelle comunità, in relazione costante coi movimenti che operano nella società. Un partito riformista non può non dotarsi di questi strumenti.  Se non è soprattutto una palestra di educazione a governare non è niente. E la trasformazione in un covo mafioso diventa ineluttabile.

 

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