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Un libro di Tommaso Russo molto utile per comprendere i percorsi e le modalità con cui la società civile lucana riemerge dopo l’eclisse subita nei primi decenni dello Stato unitario. Lo studio mette in mostra l’azione associativa dal basso, come quella dell’ANIMI, dei sindacati e delle prime formazioni politiche, sui temi dell'istruzione
In un bel volume intitolato Istruzione e sociabilità in Basilicata 1900-1921 (F. Angeli, 2004), lo storico Tommaso Russo ripercorre le vicende che hanno segnato i processi educativi nel territorio lucano in età giolittiana e fino all’avvento del fascismo, dando seguito alla ricostruzione degli accadimenti relativi al secolo precedente (Culture e scuole in Basilicata nell’Ottocento, F. Angeli, 1995).
La ricerca si basa su documenti inediti o di prima mano e fornisce un’ampia sintesi della produzione pedagogica e didattica dei maestri lucani del tempo. Inoltre, dà conto della funzione educativa svolta dall’editoria, dalla stampa e dai giornali che favorirono la crescita delle comunità lucane e la loro capacità di allungare lo sguardo oltre i confini regionali. E per la prima volta personaggi ed eventi politici vengono tratteggiati con l’utilizzo di documenti mai usati prima come, ad esempio, quelli relativi alla presenza delle confessioni religiose riformate in Basilicata, soprattutto nelle attività educative e assistenziali, nonché della loggia massonica “M. Pagano” di Potenza nelle elezioni del 1919.
Il viaggio parte dall’approvazione della legge speciale del 1904, cosiddetta Zanardelli dal nome del presidente del Consiglio che la propose a seguito di una suo aspro pellegrinaggio nelle diverse aree della Basilicata. Sui temi dell’istruzione sono inseriti nel provvedimento tre articoli che Zanotti Bianco, con qualche enfasi eccessiva, non esiterà a definire “un esperimento di decentramento amministrativo” per favorire i bisogni della scuola primaria.
Una particolare attenzione l’Autore pone ai problemi della formazione e del ruolo socializzante dei maestri e delle maestre. Queste ultime sono più numerose e non provengono più dal Centro Nord, come accadeva nei primi decenni postunitari, ma dalle famiglie benestanti del territorio regionale. Come in tutto il Mezzogiorno, anche in Basilicata le famiglie di media e alta borghesia incominciano a indirizzare le ragazze non solo nei conventi, come avveniva già in periodi precedenti, ma con sempre maggiore frequenza verso l’insegnamento nelle scuole primarie. E questa scelta costituisce sia un investimento sociale, sia un modo per continuare a scongiurare la frammentazione del patrimonio.
Si tratta di un aspetto della vita sociale che Russo approfondisce con considerazioni persuasive. Le maestre devono superare numerose difficoltà per penetrare nei piccoli ambienti dove vengono assegnate per ragioni di servizio. Il cammino per conquistare affetto dagli alunni e legittimazione dalle loro famiglie non è semplice. Vengono assunte a modello e sono costantemente vigilate nei loro comportamenti e nei loro movimenti. Esse però costituiscono un elemento di rottura in ambienti chiusi. E una volta costruito un clima di relazioni positive è alla maestra che la moglie dell’emigrante porta la lettera da leggere e il foglio per rispondere al marito lontano, affidandole così un mondo personale e di affetti.Spesso nelle lunghe sere d’inverno nei casolari o nella stessa aula scolastica – spiega l’Autore – si viene lentamente costruendo una solidarietà tra donne con un reciproco scambio di conoscenze e apporto di valori e di solidarietà.
La ricostruzione storica passa poi alle vicende legate alla legge Daneo-Credaro del 1911, con cui si realizza un’avocazione parziale dell’istruzione dai comuni allo Stato a seguito di uno scontro molto duro tra i cattolici, da una parte, che nella gestione comunale intravedono la possibilità di un controllo politico delle attività educative, e le forze laiciste, dall’altra, che nella statalizzazione delle scuole primarie ripongono la prospettiva di una maggiore efficacia gestionale e, naturalmente, anche di una tutela della laicità delle istituzioni scolastiche.
Il confronto è violento anche in Basilicata dove numerosi maestri e professori si organizzano nei sindacati di categoria, che vedono una presenza significativa delle componenti liberale e socialista. Queste si battono per far uscire le strutture scolastiche regionali dallo stato deficitario e di debolezza in cui si trovano anche mediante l’avvio di una riflessione teorica sui metodi pedagogico-didattici e con l’intento di coinvolgere una platea che oltrepassa gli addetti al settore scolastico.
È in tale fermento culturale e organizzativo che si colloca l’azione dell’ANIMI (Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno) fondata nel 1910 e che in Basilicata s’impegna in modo straordinario sul difficile terreno dell’istruzione degli adulti. Tra il 1921 e il 1928 l’Associazione istituisce 897 scuole per adulti analfabeti a cui si iscrivono 38.246 persone. E di esse ben 18.274 conseguono il diploma finale. Nell’appendice del volume è integralmente pubblicato un documento di notevole interesse: la prima relazione annuale stesa dal direttore delle scuole, Emilio La Rocca, che costituisce una sintesi dell’utopia pedagogica che informa l’iniziativa dell’ANIMI nella regione. Egli parte dalla premessa che l’esclusione dei contadini dal beneficio dei diritti sociali è imputabile esclusivamente alla loro mancata istruzione, le cui cause risiedono non solo nella latitanza delle istituzioni ma anche nell’aridità dell’istruzione stessa. Dopodiché il giovane professore indica gli elementi di una vera e propria rivoluzione pedagogica: un’istruzione socialmente utile, un sapere funzionale, una didattica basata sulla scoperta diretta, da parte dell’allievo.
Il libro di Russo è un testo molto utile per comprendere i percorsi e le modalità con cui la società civile riemerge dopo l’eclisse subita nei primi decenni dello Stato unitario. E mette in mostra come l’azione associativa dal basso, come quella dell’ANIMI, dei sindacati e delle prime formazioni politiche, sui temi dell’istruzione, si riveli molto più efficace dell’iniziativa dello Stato fascista. Un dato è sufficiente a dimostrare il fallimento dell’assunto del regime di sconfiggere l’analfabetismo: nell’anno scolastico 1936-37 la dispersione scolastica aumenterà d’intensità; in più di trenta comuni lucani, anziché calare, crescerà il numero degli analfabeti.