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Con le dimissioni di oltre 25 consiglieri comunali è iniziata la procedura che porterà allo scioglimento dell’Assemblea capitolina e alla conseguente decadenza del sindaco e della sua giunta. Cessano anche gli organi municipali e il Consiglio della città metropolitana. Mai situazione più favorevole di questa si è presentata in passato per affrontare la questione dell’ordinamento di Roma.
Finita la telenovela della crisi in Campidoglio, coi relativi risvolti grotteschi determinati dal comportamento narcisistico di Marino, si può adesso riprendere il dibattito sul futuro di Roma.
Ma la discussione non può che ripartire dal nodo che dal 1870 non è stato mai sciolto. Oggi la questione è ineludibile. Senza istituzioni democratiche efficienti, che sappiano gestire politiche di sviluppo, le mafie prolificano. E tale questione va discussa adesso che gli organi capitolini non ci sono più, quelli municipali seguono la stessa sorte e il Consiglio della città metropolitana cessa anticipatamente nelle sue funzioni.
Mai situazione più favorevole di questa si è presentata in passato per affrontare organicamente la questione dell’ordinamento di Roma.
Dall’Unità la proposta di un regime speciale per Roma ha camminato sempre tra due scivolose ipotesi: quella di troppo accentrare e quella di lasciarsi degradare e succhiar sangue da altri. E dunque si deve scegliere o quanto meno contemperare. Difficile, comunque, ignorare il punto.
L’idea di un regime speciale è stata pienamente sostenuta e messa in atto già una volta, ed ebbe la forma di un governatorato direttamente dipendente dai poteri centrali, come voleva Mussolini. Ma anche in altre circostanze, prima e dopo il fascismo, emerse un’inclinazione dello stesso genere.
Quest’idea potrebbe di nuovo farsi strada nell’attuale frangente e trovare una convergenza trasversale negli schieramenti politici: chi governa il Paese governa anche Roma. Una semplificazione istituzionale e amministrativa che potrebbe presentarsi come la soluzione più efficace ai problemi sollevati dallo scandalo di Mafia capitale e dalla bislacca conclusione dell’esperienza della giunta Marino.
Per questo motivo i cittadini e le comunità locali devono appropriarsi di questo tema e sentirlo come un elemento vitale della propria appartenenza a Roma. Si tratta, innanzitutto, di ripensare i municipi. Abbiamo bisogno che queste istituzioni diventino davvero istituzioni di prossimità . Non più luoghi di mediazione estenuante e vacua tra i bisogni delle popolazioni e il Campidoglio, ma istituzioni vere in cui le comunità possano riconoscersi  e, insieme, costruire lo sviluppo delle società locali.
Solo partendo da questa premessa di base, si potrà architettare un’intelaiatura istituzionale che dia forma ad una governance democratica di Roma, capace di esercitare il ruolo di capitale, con risorse, poteri e competenze comparabili con le più grandi capitali europee.
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