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Obiezione di coscienza e servizio civile

Con la riforma del Terzo Settore, il Servizio Civile diventa universale e si colloca finalmente nell'alveo costituzionale del diritto dovere di promuovere la pace con modalità civili e non armate. Come ha ricordato il Presidente Mattarella, "sono stati gli obiettori di coscienza al servizio militare obbligatorio ad aprire la strada ad ampliare il significato e le modalità di servizio alla Patria". Qualche giorno fa è morto Pietro Pinna che nel 1948 rifiutò di prestare il servizio di leva, scontando 18 mesi di carcere

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Con la sospensione della leva obbligatoria, a partire dal 2005 è stata eliminata di fatto anche l’opzione del Servizio Civile obbligatorio per obiezione di coscienza. Resta il Servizio Civile Nazionale, istituito con la Legge n. 64 del 2001, che opera nei seguenti settori: ambiente, assistenza, educazione e promozione culturale, patrimonio artistico e culturale,protezione civile, servizio civile all’estero. Dopo due anni di discussione e a quasi dodici mesi di distanza dall’approvazione del testo alla Camera, qualche giorno fa il Senato ha dato il via libera al disegno di legge di riforma del Terzo Settore, del Volontariato e del Servizio Civile. Ora, per l’ok definitivo del Parlamento alla normativa, essendo state apportate alcune modifiche nel corso dell’esame a Palazzo Madama, sarà necessario un ultimo passaggio a Montecitorio. Pare che non ci saranno ulteriori modifiche. Con questa riforma, i soggetti del Terzo Settore saranno “le organizzazioni che promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi”. Le attività di interesse generale verranno individuate con decreti ministeriali. il Servizio Civile diventa universale, viene rinnovato e “finalizzato alla difesa dei valori fondativi della patria, attraverso la realizzazione di esperienze di cittadinanza attiva, di solidarietà e di inclusione sociale”. Una formulazione che lo colloca finalmente nell’alveo costituzionale del diritto dovere di promuovere la pace con modalità civili e non armate e a questo  riconduce gli altri riferimenti alla Costituzione. Si promuove la pace anche diffondendo le agricolture civili e multideali. Non a caso, proprio in queste ore, il ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Maurizio Martina, e il sottosegretario del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Luigi Bobba, hanno siglato un accordo finalizzato alla realizzazione del progetto cofinanziato per l’impiego di mille giovani in percorsi di Servizio Civile nell’Agricoltura Sociale.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha molto opportunamente ricordato che “sono stati gli obiettori di coscienza al servizio militare obbligatorio ad aprire la strada, talvolta con contrasti e incomprensioni, ad ampliare il significato e le modalità di servizio alla Patria”. Ma oggi, questa fulgida ed eroica tradizione civile, che nel nostro paese annovera numerosi esempi, rischia di scomparire dalla memoria collettiva. Se nel nostro Paese sono diffusi la cultura pacifista e gli stili di vita nonviolenti lo si deve al sacrificio di tanti giovani obiettori di coscienza che si sono battuti, pagando di persona, per affermare i valori della pace. Una ricostruzione molto bella di questa vicenda è stata fatta da Sergio Albesano nel volume Storia dell’obiezione di coscienza in Italia (Editrice Santi Quaranta 1993).

Gli obiettori di coscienza nella storia

Fino al 15 dicembre 1972, quando furono varate le norme che permisero agli obiettori di scegliere il servizio civile obbligatorio, l’obiezione di coscienza al servizio militare era considerata alla stessa stregua della renitenza alla leva oppure alla diserzione. Reati penali che comportavano un processo dinanzi ai tribunali militari e la detenzione nei penitenziari militari. Ciò nonostante, gli obiettori di coscienza rimasero fedeli ai propri ideali e subirono con eroismo le tristi conseguenze delle proprie scelte. Enzo Bianchi ha ricordato che i cristiani, nei primi tre secoli, fecero obiezione di coscienza al servizio militare e furono, anche per questo, perseguitati, salvo poi essere integrati come appartenenti alla religione dell’impero.

Dall’Unità d’Italia fino alla fine della seconda guerra mondiale i casi di obiezione di coscienza furono rarissimi. Agli inizi del Novecento, uno di tali obiettori fu Luigi Lué di San Colombano al Lambro (Milano). Fu condannato a otto anni di carcere. Un altro obiettore, durante la prima guerra mondiale, fu Giovanni Gagliardi di Castelvetro Piacentino, che oltre alla prigione soffrì la reclusione in manicomi, anche dopo la fine della guerra. La stessa sorte ebbe Remigio Cuminetti di Porte di Pinerolo (Torino). Nel secondo dopoguerra, il primo caso di obiezione di coscienza fu quello di Rodrigo Castiello di Cuneo, membro del gruppo religioso dei pentecostali, che fu giudicato nel 1947 e venne in seguito prosciolto per amnistia. Nello stesso periodo fu condannato a 5 mesi di reclusione Enrico Ceroni, testimone di Geova. Terza in ordine di tempo, ma prima per la risonanza avuta nell’opinione pubblica italiana e internazionale fu l’obiezione di Pietro Pinna di Finale Ligure, morto qualche giorno fa a 89 anni. Il suo caso aprì il lungo cammino che avrebbe portato gli obiettori italiani ad essere riconosciuti dallo Stato. Egli partì da convincimenti non solo religiosi, ma da motivazioni politiche e filosofiche. E quindi fece di tutto per diffondere la notizia della sua presa di posizione, così da poter essere di esempio per altri giovani. Pinna fu condannato per ben tre volte. E la sua pena poté essere interrotta solo a seguito dell’esonero causato da motivi di salute. Fu un modo per aggirare l’ostacolo dal momento che la prigione non aveva indotto il giovane a cambiare idea. Ma il suo caso costrinse il mondo giuridico ad analizzare il concetto di difesa previsto dall’art. 52 della Costituzione. E indusse Aldo Capitini ad avviare la sua iniziativa nonviolenta e per la pace.

Il dibattito nell’Assemblea costituente

Nel secondo dopoguerra, il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare era riconosciuto negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Olanda, nella Repubblica Federale Tedesca e in molte altre nazioni europee e del mondo. In Italia lo sostenevano solo pochissime personalità che si erano attivate invano anche nell’Assemblea costituente, provando ad inserirlo nella Costituzione.

Tra i padri costituenti il dibattito fu acceso sul tema inerente l’obbligatorietà della coscrizione o la scelta in alternativa di un esercito di volontari. Ma prevalse l’idea che un esercito di mestiere contrastasse con il principio che la difesa della patria è sacro dovere di tutti i cittadini. In realtà, si temeva la pericolosità della presenza di un esercito di volontari per le istituzioni democratiche faticosamente conquistate. La leva di massa era considerata storicamente una conquista rivoluzionaria e si pensava che, se l’esercito di popolo non esclude l’imposizione di una dittatura, quello di mestiere la può favorire e che il servizio militare aperto a tutta la popolazione garantisce in casi eccezionali l’autodifesa, in quanto si possono sfruttare le conoscenze belliche apprese nell’esercito per ribellarsi ad un governo ingiusto, come era accaduto per i partigiani. Il testo dell’art. 52 approvato così recita: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici. L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”. Solo alcuni membri della Costituente, tra cui Cairo (PSLI), Chiaramello (PSLI) e Calosso (PSI) proposero l’emendamento: “Il servizio militare non è obbligatorio. La Repubblica, nell’ambito delle convenzioni internazionali, attuerà la neutralità perpetua”. Tale decisione, che avrebbe modificato completamente l’impostazione della questione, fu respinta. Calosso, Chiaramello, Pertini, Matteotti e altri proposero un comma aggiuntivo, il quale stabiliva che “nel bilancio dello Stato le spese per le forze armate non potranno superare le spese della Pubblica Istruzione, salvo legge del Parlamento di durata non superiore ad un anno”. La proposta venne giudicata demagogica e fu nettamente bocciata. In alcuni interventi venne suggerito che per difesa si potesse intendere anche quella attuata attraverso una mobilitazione di prevenzione e di soccorso diffusa su tutto il territorio nazionale con il coinvolgimento totale della popolazione. Proprio partendo da questa considerazione, che prefigura modi nuovi di contribuire come cittadini in maniera attiva alla difesa della patria in caso di aggressione, prese forma una linea interpretativa della giurisprudenza che aprì la strada al considerare compatibile con la nostra carta fondamentale la posizione di quanti, per profondi convincimenti, ritengono in contrasto con la propria coscienza il far parte dell’organizzazione militare. Il problema dell’obiezione di coscienza fu affrontato nel corso dei lavori preparatori per la stesura dell’art. 52 con la presentazione di un emendamento, proposto dall’on. Caporali, che assicurasse “l’esenzione dal portare le armi per coloro i quali vi obbiettino ragioni filosofiche e religiose di coscienza”. Il relatore della commissione, il democristiano Merlin, motivò la sua opposizione all’emendamento con il fatto che “in Italia non esistono sette le quali abbiano consacrato una speciale attività sull’argomento. Rispettabile è lo scrupolo di coscienza, e già le nostre leggi ne tengono conto per i sacerdoti, ma non bisogna esagerarlo e sancirlo nella Costituzione, per non arrivare a conseguenze assai pericolose”. Un modo per aggirare diplomaticamente la questione: una contrarietà non assoluta al riconoscimento dell’obiezione di coscienza, constatando la sua non utilità in quel periodo storico.

La lunga marcia verso il riconoscimento

Bisognerà che alcune centinaia di giovani si sacrificassero per le proprie idee, con un forte carico di sofferenza, per arrivare alle norme che riconoscano gli obiettori. È negli anni Sessanta che l’obiezione diviene un’azione collettiva con manifestazioni popolari. Nasce il movimento antimilitarista. I nonviolenti si organizzano appoggiati fortemente dal partito radicale. I comunisti, che erano stati fino a quel momento contrari alle scelte degli obiettori, incominciano a guardarli con maggiore simpatia. Non hanno però una chiara e univoca visione del fenomeno, a causa dell’impostazione che li porta a prediligere un esercito di popolo quale baluardo per la difesa della democrazia. Maggior aiuto gli obiettori ricevono dai socialisti, che sono l’unica forza politica che ha una tradizione storica di opposizione alla guerra o, per lo meno, di non appoggio ad essa. Nella Dc la maturazione è più lenta. Il sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, incurante della censura, organizza nel 1961 la visione del film Non uccidere, dedicato all’obiezione di coscienza e girato in Italia dal regista francese Autant-Lara, invitando rappresentanti del mondo politico e culturale e i direttori di quindici quotidiani a tiratura nazionale che avevano preso posizione a favore della libertà di manifestazione artistica. Si attira le critiche più feroci di quasi tutti i settori democristiani e delle gerarchie cattoliche. Ma il clima conciliare nella chiesa e l’avvio del centro-sinistra creano le condizioni di una lenta ma diffusa consapevolezza nel dover affrontare la questione. Si presentano diverse proposte di legge in Parlamento. Don Lorenzo Milani e gli allievi della sua scuola di Barbiana nel Mugello prendono posizione con un testo che resterà un classico dell’antimilitarismo: L’obbedienza non è più una virtù.

Dopo diversi tentativi di riconoscere in via legislativa l’obiezione di coscienza, il 15 dicembre 1972 il Parlamento approva la proposta dell’on. Giovanni Marcora. Egli era stato capo partigiano nelle formazioni cattoliche e con il suo impegno a favore del riconoscimento dell’obiezione di coscienza vuole diradare le ombre di una connessione anche indiretta tra i valori della Resistenza e lo spirito militarista. Il giorno seguente l’organo della DC, Il popolo, scrive: “I giovani, a volte delusi e impazienti, a volte deviati da pseudoideologie progressiste, possono guardare alle istituzioni del paese, imparando che nonostante ritardi e difetti tutte le istanze giuste e fondate trovano sempre in una libera democrazia il loro riconoscimento e suggello giuridico”. Eppure l’obiezione di coscienza si sarebbe potuta riconoscere già nella Costituzione – come era avvenuto in altri Paesi europei – se fosse prevalsa nelle forze politiche democratiche una più spiccata attitudine a “scrutare i segni dei tempi”.

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