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Nuovi contadini nel Cilento

Il problema non è più l'autonomia ma è la libertà di scegliere i modi in cui dipendere; non è più il diritto di stare ognuno per proprio conto, ma è la ricerca dell’altro come altro, non perché mi serve - lo perderei appena verrebbe meno l'utilità! - ma in quanto mi completa e posso raggiungerlo solo nella sua libertà

asino

Se fate un giro nel Parco del Cilento, sostate qualche giorno a Pruno di Laurino che si trova in una valle ancora integra dal punto di vista delle risorse naturali ma con segni evidenti di abbandono. Si popola e si spopola ciclicamente, ogni 50-60 anni, da quando San Nilo da Rossano, nell’XI secolo, vi fondò un cenobio basiliano, i cui ruderi sono ancora evidenti. Dopo l’Unità d’Italia fu anche rifugio di un capo brigante, Giuseppe Tardio, che guidava una banda di duemila uomini nell’ultima guerra contadina dell’Occidente. Da qualche decennio la comunità rurale è in fase calante, ma potrebbe da un momento all’altro crescere di nuovo, qualora giovani cilentani e immigrati decidessero di insediarsi nella vallata.

Un’edicola sulla strada con l’insegna “Tempa del Fico – Ospitalità rurale” vi avvertirà che siete arrivati e ad accogliervi troverete Angelo e Donatella con le loro figliole, che abitano in un antico casalino ristrutturato secondo i principi della bioarchitettura e utilizzando materiali locali spesso riciclati.

È piacevole ascoltare la storia di vita di questa famiglia perché senti nelle loro voci e leggi nei loro sguardi la passione di una scelta importante, l’entusiasmo di persone consapevoli di produrre una continua innovazione sociale. Originario di Salerno, Angelo giunse a Pruno negli anni Ottanta, con altri giovani suoi coetanei, alla ricerca di un rapporto con la terra come stile di vita non più condizionato dalla società dei consumi. Ma di tutto il gruppo solo lui volle fermarsi: acquistò la terra e la casa e si mise a coltivare l’orto, ispirandosi ai principi della biodinamica, e a seminare la “Carusella”, un antico grano locale. Sicché, lui che veniva dalla città, abituato agli agi urbani, si fece contadino tra i contadini nativi, ricevendo molto e restituendo altrettanto in un rapporto di reciprocità e mutuo aiuto.

Nel frattempo, da Seminara arrivò Donatella, che divenne la sua compagna; e con lei ed altri giovani dette vita nel 2001 all’Associazione culturale L.O.S.A.P. (Ludo-Labo Osservatorio Socio Ambientale Pruno) per avviare un percorso di progettazione partecipativa volta a recuperare manufatti per l’ospitalità rurale, installare un piccolo mulino a pietra e costruire un parco asini, attingendo alle risorse e alla sapienza dei luoghi. Il progetto, denominato “Valle degli Asini”, venne fatto proprio e finanziato dal Parco del Cilento.

Per favorire la partecipazione delle famiglie del posto alla progettualità locale, l’Associazione incominciò a svolgere ogni anno, il 29 giugno, una festa popolare dalla denominazione insolita “Attacca u’ padrone addo’ vole u’ ciuccio”, con l’intento di ribaltare il vecchio proverbio per dare dignità alla cultura contadina (e a quella dell’asino rispetto agli altri animali) da sempre vissuta come subalterna a quella urbana. Attorno ad un grande fuoco che si accende per la festa, si è potuta recuperare la tradizione della “fanoia”, rituale legato al culto di Sant’Elena – una donna che visse in una grotta della valle dedita a rattoppare i sai dei monaci – e, ancora prima, rito propiziatorio che si inscrive nella grande famiglia dei fuochi sacri della notte di San Giovanni.

Il progetto prevede il recupero della vecchia scuola di campagna, abbandonata da anni, al fine di farne un centro di accoglienza per i viaggiatori che visiteranno la valle. I lavori sono quasi conclusi e, con gli ultimi ritocchi, la struttura potrebbe partire. In un altro fabbricato è stato installato un piccolo impianto per la molitura del grano. Ci pensa Donatella, con la sua capacità creativa, a decorare il pane che se ne ricava, da quando ha smesso di svolgere la sua originaria attività di maestra orafa. Ci sono poi da portare a termine i ricoveri temporanei per l’allevamento seminomade degli asini, da costruire con intonaci naturali in calce e terra cruda e l’utilizzo di balle di paglia; i recinti dove effettuare l’onoterapia a sostegno di persone fragili; la produzione del latte d’asina che sostituisce efficacemente il latte materno ed è utilizzabile nell’industria dei cosmetici naturali; la “ciucciopolitana”, che è una rete tra i vari centri di ospitalità rurale da collegare mediante l’impiego dell’asino per le “vie dei monti”. Al fine di completare e mettere in moto le diverse iniziative ci vorrebbero altre persone disposte a trasferirsi nella Valle degli Asini e, investendo somme modeste, insediarsi nella nascente rete di economia solidale.

Mentre mi accompagna a visitare le diverse strutture, Angelo continua a raccontare le fasi di questo suo apprendistato contadino e noto con stupore che ha fatto suo anche un modo d’essere diffuso nell’antica terra dei Lucani: l’eterna incontentabilità. Ti mostra le realizzazioni e le iniziative che sta portando avanti e tu vorresti congratularti per come sono fatte bene; ma lui ti parla di come avrebbe dovuto farle e ti trasmette un senso d’insoddisfazione a stento dissimulato da un sorriso autoironico. Avverti in lui l’ansia dell’autonomia da qualsiasi forma di dipendenza, in un contesto socioeconomico e istituzionale caratterizzato da molteplici modelli di subordinazione e da conseguenti processi di sfruttamento e marginalizzazione. Non si è indebitato con le banche ed ha rifuggito ogni logica assistenzialistica: uno scandalo in una terra dove i rapporti tra politica e società sono perversi. Egli rivendica l’originalità della sua condizione contadina nella postmodernità e si schermisce quando gli chiedo se sia iscritto all’albo degli imprenditori agricoli professionali o degli operatori agrituristici: “No, non ci iscriviamo a nessun albo perché vogliamo rimanere fedeli alla nostra scelta di contadini contemporanei, che affondano le radici nella tradizione e fanno i conti coi processi di globalizzazione diversificando continuamente le attività, come nel proverbio cilentano ‘acina acina se face la macena’”.

Ma nel passare accanto a un casalino vuoto, si ferma sconsolato e mi dice: “Donatella ed io non ce la facciamo più a fare tutto quello che ci sarebbe da fare qui a Pruno. Transitano da noi tanti giovani desiderosi di vivere un’esperienza autentica in campagna; restano soddisfatti dopo essere stati venti giorni un mese, ma poi nessuno vuole restare. Per invogliarli ho detto sempre che avrei dato loro in uso gratuito questo casalino; ma ora non lo prometto più, mi sono stancato”.

Si sente un raglio nel bosco e un’espressione gioiosa torna ad illuminare il volto di Angelo: “E’ Catarina che torna dal bosco. Su, corriamo, che l’asina deve mangiare!” Appresi allora il significato più profondo del proverbio che da qualche tempo a Pruno viene usato al rovescio: “Attacca u’ padrone addo’ vole u’ ciuccio”. E pensai che, in un mondo dove tutti siamo dipendenti gli uni dagli altri, compresi gli animali e le piante nel rapporto con noi umani, il problema non è più l’autonomia ma è la libertà di scegliere i modi in cui dipendere; non è più il diritto di stare ognuno per proprio conto, ma è la ricerca dell’altro come altro, non perché mi serve – lo perderei appena verrebbe meno l’utilità! – ma in quanto mi completa e posso raggiungerlo solo nella sua libertà. Per camminare insieme per le vie del mondo, per starsi accanto in reciproco sostegno.

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