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Lotte contadine per la rinascita

Alla fine degli anni Quaranta le occupazioni di terre hanno un carattere di festa popolare per il riscatto della condizione contadina. Con questo spirito, anche a Tito vengono occupate le terre demaniali e le proprietà degli Spera, dei Capaldo e dei Postiglione

Contadini

Nell’ottobre 1949 migliaia di contadini in Calabria e Basilicata, guidati da esponenti sindacali e di partito, socialisti e comunisti, ma anche cattolici, si dirigono verso le terre dei grandi proprietari. Una volta giunti sui fondi, segnano meticolosamente le quote di ciascuno e iniziano immediatamente i lavori per la semina.  La tensione nelle campagne meridionali è alimentata dalla fame di terra soprattutto da parte dei reduci dalle dolorose esperienze dell’ultimo conflitto. Ma non c’è un clima insurrezionale. Le iniziative di mobilitazione sono guidate da intellettuali scrupolosamente attenti ad isolare le posizioni estremistiche e a favorire la partecipazione di un ventaglio ampio di ceti sociali. A dirigere la Federazione comunista di Potenza non c’è più Giuseppe Marmorosa, ex partigiano nelle file titoiste ed esponente di quell’area del partito che vuole incanalare il malcontento nelle campagne e l’aspirazione dei contadini alla terra in azioni sovversive.  Su queste basi aveva costruito legami politici anche a Tito dove una sorella, Irma, aveva sposato Eugenio Mancinelli.  Giorgio Amendola, segretario interregionale del Pci della Campania e della Basilicata, aveva inviato da Napoli Pietro Valenza per sostituirlo e imporre una linea di larghe alleanze sociali in coerenza con la linea togliattiana della “via italiana al socialismo”.

Dappertutto, si costituiscono i Comitati per la terra, aperti a tutti i cittadini e a tutte le organizzazioni democratiche. Le occupazioni di terre in questo periodo hanno, dunque, più un carattere di grande festa popolare per il riscatto della condizione contadina che non quello di un vero e proprio atto rivoluzionario. Sono momenti in cui cresce la consapevolezza della necessità di una rinascita, di un cambiamento profondo per determinare nuove condizioni di vita. Ma da raggiungere attraverso un allargamento del consenso.

Le feste però sfociano rapidamente in tragedie per insipienza di alcuni responsabili dell’ordine pubblico o per troppo avida paura di alcuni proprietari.  La polizia  spara sui manifestanti e muoiono alcuni contadini. A Torre Melissa in Calabria cadono Angelina Mauro, Giovanni Zito e Francesco Nigro nel fondo chiamato “Fragalà” di proprietà della famiglia Berlingieri; mentre a Montescaglioso, in provincia di Matera, viene recisa la vita di Giuseppe Novello in località “La Dogana” ove sono le proprietà di Carlo Salinari, autorevole collaboratore della rivista culturale “Il Contemporaneo” del Pci. Braccianti e dirigenti sindacali, mobilitati per il rinnovo del contratto di lavoro, vengono uccisi in altri scontri che si verificano in numerose località del Paese.

Era accaduto più volte nell’Italia liberale, ma adesso si registra una novità rilevante: è l’intera opinione pubblica a rimanere scossa da tali episodi di gratuita violenza ai danni di ceti considerati marginali nel contesto sociale. Anche per questo motivo, le direttive ai prefetti del ministro dell’Interno Scelba raccomandano di evitare scontri con gli occupanti e di limitarsi a denunciare all’autorità giudiziaria le persone coinvolte.

In provincia di Potenza, il movimento ha inizio negli ultimi giorni di novembre con le occupazioni di terre ad Anzi, Picerno, Tito, Bella, Melfi, Rionero e Venosa. Si estende successivamente in un’altra ventina di Comuni. Il tutto si svolge senza incidenti. A Tito,  vengono occupati, in contrada Colacerchiara, 140 ettari di terreni incolti di proprietà degli Spera. Il 4 dicembre incominciarono altre tre occupazioni: su 30 ettari di pascolo appartenenti a Maria Capaldo, in Contrada Maccarò; su 20 ettari di demanio comunale al Piano di Finocchio e a La Mangosa e su 6 tomoli di seminativo di Alfredo Postiglione a San Vito. Le occupazioni si concludono il 10 dicembre con l’intervento dei carabinieri che arrestano 8 persone e ne denunciano 155. Dal rapporto dei carabinieri risultano tra i promotori: Antonio Vazza, Angelo Luciano Luongo, Antonio Luongo, Giovanni Trota, Rocco Camerata, Luciano Santopietro, Giuseppe Passalacqua e Pietro Graziano Ramaglia.

A seguito di questa mobilitazione che ha assunto anche risvolti cruenti il governo si affretta a varare, nel corso del 1950, una serie di provvedimenti per attuare la riforma agraria in alcune aree del Paese, da tempo in gestazione ma ora ritenuta urgente. Nel gruppo dirigente nazionale del Pci si avverte tuttavia un senso di smarrimento, quasi una difficoltà a cogliere il senso della vicenda. Molti vorrebbero capire meglio se in Calabria la reazione cruenta della polizia fosse in qualche modo la conseguenza di errori commessi dagli organizzatori. E Togliatti interviene nella direzione comunista del 23 novembre giudicando quanto stava accadendo “un grande fatto positivo che ha imposto a tutto il paese il problema della terra”. A differenza di altri dirigenti del suo partito, egli non critica per nulla la conduzione dell’iniziativa di lotta che ha portato allo scontro violento. Il punto critico che egli rileva è la disorganizzazione della Costituente per la Terra e “il fatto che noi siamo rimasti sorpresi da riserve di combattività tra i contadini che non conoscevamo”.  Non dà spazio alle autocritiche. Il crudo realismo di Togliatti lo porta a considerare gli scontri di Melissa un momento altamente significativo, perché un fatto violento stava innescando la disarticolazione del blocco sociale e politico della Dc e del governo. “La lotta per la riforma agraria – egli afferma – comprende anche fasi aspre, cruenti e non dobbiamo meravigliarci: queste semmai sono le violenze giuste e non quelle sporadiche violenze individuali”. Una posizione che fa emergere il paradosso di tenere insieme pulsioni estremiste, fino all’esaltazione della violenza politica, e considerazioni realistiche sull’impossibilità di una prospettiva rivoluzionaria in un Paese destinato, dagli accordi di Yalta, al blocco occidentale. Emerge in questo episodio la doppiezza della “via italiana al socialismo”. Doppiezza delle due motivazioni da far coesistere: l’utopia comunista (e conseguentemente il legame di ferro con l’URSS) e il condizionato impegno per la democrazia, imposto dalla realistica collocazione dell’Italia nell’area europea occidentale.

Come appare chiaro dall’efficace ricostruzione di Emanuele Bernardi, la riforma agraria è legata ai finanziamenti derivanti dal Piano Marshall, lanciato dagli Stati Uniti nel 1947 per contribuire alla ricostruzione postbellica. Nell’idea americana di modernizzazione dell’Italia, la riforma agraria è però intesa principalmente come realizzazione di opere infrastrutturali, mediante la costruzione di strade, ponti, canali e opere di bonifica, e solo marginalmente come processo di redistribuzione fondiaria per rispondere alla plurisecolare fame di terra dei contadini. Assume quindi un aspetto sostanzialmente simile agli interventi che gli Stati Uniti avevano messo in campo nel processo di ammodernamento della propria agricoltura dopo la crisi del 1929. La portata di tali investimenti aveva innescato dei processi identitari di vasta portata rintracciabili ad esempio nella produzione letteraria. Si pensi al romanzo Furore di John Steinbeck che ne consacra questo riconoscimento.

Le direttive americane sono, pertanto, concepite in modo antitetico a quelle perseguite dal ministro Segni, dalla Coldiretti e dalla sinistra, e vicine, invece, alle posizioni della Confagricoltura, della destra democristiana e dei liberali, con l’avallo attivo della Confindustria.

La posizione americana risulta in realtà rovesciata rispetto alle linee originarie del programma di ricostruzione europea formulate dall’amministrazione degli Stati Uniti e che contenevano obiettivi produttivistici fortemente integrati con finalità sociali. E tale ribaltamento avviene a seguito di una pressante azione lobbistica nei confronti dei responsabili del Piano Marshall a Roma da parte della Confindustria e della Confagricoltura.

È per questo motivo che Segni, nonostante le pressioni che vengono dal “movimento per la terra” e la sua intima convinzione sulla necessità di una riforma agraria generale, è costretto a ridimensionarne l’applicazione ad alcune aree del Paese, ottenendo solo a queste condizioni il consenso di tutta la Dc. Si approva,  pertanto,  quella  che  viene  definita  “riforma  agraria stralcio”, rinviando la riforma generale a tempi migliori che non arriveranno più. Meno problematico, almeno inizialmente, appare l’iter di un altro disegno di legge predisposto dal governo e teso a trasformare i contratti di mezzadria in affitto.

Esso è varato dalla Camera dei Deputati il 22 novembre 1950 con il voto favorevole della sinistra. Ma tale esito suscita la vivace reazione della proprietà fondiaria che ne impedisce l’approvazione definitiva. Sicché, nelle elezioni amministrative del 1951 la Dc registra una sonora sconfitta a vantaggio dei piccoli partiti alleati e Segni è sostituito da Amintore Fanfani al dicastero dell’Agricoltura. Per un lungo periodo non si parlerà più di riforma dei contratti agrari ma si prorogheranno sine die quelli in corso.

 

 

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