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Demistificare l’utilizzo strumentale delle idealità, delle visioni del mondo e delle convinzioni di fede significa affermare un approccio laico che favorisce il dialogo e la convivenza civile. E chi ha profuso impegno in tale direzione andrebbe ripreso e studiato
Viviamo in un’epoca in cui – per usare concetti weberiani – l’etica dell’intenzione tende a prevalere sull’etica della responsabilità. E la comunicazione che si avvale delle tecnologie digitali, in tempi di post-verità, permette ai propinatori di ideologie ed etiche della convinzione di trovare audience a buon mercato, a scapito di chi ha il dovere della responsabilità, dovendo assolvere a ineludibili funzioni di governo.
Le definizioni del concetto di ideologia
La parola “ideologia” letteralmente significa “scienza delle idee” ed è stata coniata da Antoine Destutt de Tracy (1754-1836). Il testo più completo che tratta l’argomento è “Ideologia e utopia” di Karl Mannheim (1893-1947), considerato il padre della sociologia della conoscenza. Ma contributi significativi sono venuti anche da Karl Marx (1818-1883), Eduard Bernstein (1850-1932), Max Scheler (1874-1928), Max Weber (1864-1920) e Vilfredo Pareto (1848-1923).
Una prima definizione del concetto di ideologia è quella che serve a indicare “le idee correnti o medie, o le aspirazioni comuni, di una data categoria sociale o di un organismo o di una organizzazione sindacale o politica specifica”. Un esempio concreto di ideologia sono state le piattaforme programmatiche, soprattutto quelle a media e lunga scadenza, del Pci e della Dc, con particolare riferimento alle idealità che muovevano gli aderenti a mobilitarsi. Naturalmente, così intesa, l’ideologia di un partito non obbedisce alle regole razionali di un trattato scientifico. È legata alle tradizioni di quella forza politica, alle casualità della sua storia, alle sue lotte, alle sue vittorie e alle sue sconfitte. Ma non ha l’onere di provare la sua efficacia. Solo l’indagine storica e sociologica disvela impietosamente la funzione da essa svolta nella realtà.
Una seconda definizione di ideologia risale alle opere di Friedrich Engels e Karl Marx (soprattutto si veda in proposito “L’ideologia tedesca”). Per tali autori il concetto ha il significato di “razionalizzazione o giustificazione dell’esistente o, meglio, dei propri interessi di gruppo, di classe o di partito”. Marx ne parla come di una “cattiva coscienza” nel senso che l’ideologo tende a spacciare la sua verità parziale, ritagliata sulle sue esigenze personali o, comunque, settoriali, come una verità assoluta. Insomma, una menzogna codificata che viene dispensata come verità fuori discussione.
Per completezza va detto che prima di Marx è stato Napoleone Bonaparte a usare il termine “ideologia” per svalutare i membres de l’Institut de France non sempre benevoli verso il dittatore.
Così si spiega perché i termini “ideologia” e “ideologismo” diventano sinonimi di chiusura mentale, dogmatismo, intolleranza verso le posizioni e le idee altrui non solo per cattiva volontà di sopraffazione, ma anche per pura incapacità di uscire fuori dalla propria verità ideologica, degradata a pregiudizio settario, e aprirsi quel tanto che permetta di comprendere le ragioni degli altri.
La critica weberiana del socialismo tedesco
È Max Weber a utilizzare, con questo significato, il termine “ideologia” nell’analizzare il modo di essere della Spd (partito socialdemocratico tedesco) kautskyana. Per il grande sociologo tedesco, la Spd era un partito “ideologico” perché la sua fede nella presunta necessità obiettiva del socialismo sostituiva nei suoi dirigenti ogni attiva funzione politica. L’unica preoccupazione dei gruppi dirigenti socialisti era l’autoconservazione, il mantenere intatta la forza organizzativa e la purezza ideologica in vista della “battaglia finale”. La dottrina marxista – scriveva Weber – viene usata in modo “strumentale” e “passivo”: mero fattore di “integrazione interna”. La professione di fede veniva utilizzata come strumento di stabilità, autoidentificazione e autolegittimazione di una estesa “macchina burocratica”, di uno “Stato nello Stato” che era però puramente passivo. Per Weber, l’impotenza politica della Spd trovava il proprio contrappeso nella cecità e miopia politica delle classi dirigenti borghesi, stoltamente reazionarie. L’evocazione della “minaccia reciproca” serviva, ai capi socialisti e alla borghesia reazionaria, ad evitare una sfida ben più impegnativa per la modernizzazione della società e della politica tedesca.
La distinzione tra ideologia e utopia
Karl Mannheim cerca di correggere il tiro e introduce una distinzione drastica tra il concetto di “ideologia” e quello di “utopia”. Per lui, l’ideologia è la giustificazione della situazione sociale e politica esistente, mentre l’utopia si configura come una tensione che non esiste ancora e dà origine a quattro forme di mentalità utopica (la chiliastica, la liberale-umanitaria, la conservatrice e la socialistico-comunistica).
L’utopia come impossibilismo
Eduard Bernstein conduce la sua battaglia revisionista nei confronti del socialismo ortodosso sostituendo il termine “ideologia” con quello di “utopia” e individuando nella mentalità utopica socialista l’ostacolo a “misurarsi con i problemi dell’organizzazione dalla società capitalistica a quella socialista”. Una mentalità che porta a considerare tutto ciò che è possibile modificare nella società capitalistica come non altro che inutile “rattoppatura”, semplice “palliativo”. E a rinviare ogni soluzione all’avvenuto “salto” nel “socialismo”. Da qui ogni forma di intransigenza e indifferenza verso l’impegno costruttivo.
Bernstein usa un termine efficace per definire la mentalità utopica socialista: impossibilismo. Si tratta di quella sorta di chiusura mentale alla novità, rispetto alle formule della teoria, che possono introdursi nello sviluppo sociale e a tutto ciò che, prima del “salto” nel socialismo, può modificare la realtà. Questa forma di “ostinato attaccamento ai principi” è assai spesso del tutto formale. Esso copre, non di rado, un “eclettismo” e un pragmatismo senza criteri. L’impossibilismo – afferma Bernstein – nel rinviare tutto alla “nuova società” è costretto, profanamente, a ricorrere, nell’azione concreta, alla pura “casualità”, a “brancolare senza criteri guida” e, di fatto, senza forza teorica.
In modo originale e solitario, egli risponde a quel vuoto teorico costruendo un’idea di socialismo come sviluppo del liberalismo mediante l’affermazione della cittadinanza come idea moderna della libertà: socialismo e democrazia come gradi di un processo unico e di un medesimo progetto. Per Bernstein “non esiste idea liberale che non appartenga anche al contenuto ideale del socialismo”. Egli libera il concetto di “socialismo” dal suo finalismo utopistico e lo riplasma come processo: “il movimento è tutto”. Per questa sua costruzione teorica fortemente innovativa, Bernstein è stato il socialista revisionista più denigrato della storia, considerato un traditore del movimento operaio.
La demistificazione dell’ideologia
Un altro smascheratore di ideologie è stato Vilfredo Pareto, del tutto estraneo alla tradizione marxistica, che ha dato contributi di straordinaria acutezza sui miti del socialismo e sui singolari scarti fra ideali social-umanitari e pratica effettiva di vita di una particolare borghesia illuminata. Anche lui ha pagato un prezzo altissimo per questo suo coraggio intellettuale: per anni è stato ritenuto, se non un filofascista, un reazionario nemico della democrazia. In realtà, era nemico della caricatura atroce della democrazia che dominava la scena politica italiana quand’era vivo.
Diffidare delle illusioni ideologiche, manipolate da una comunicazione invasiva come quella attuale, è ancora oggi un esercizio molto utile. Demistificare l’utilizzo strumentale delle idealità, delle visioni del mondo e delle convinzioni di fede nei rapporti di potere e nella politica significa affermare un approccio laico che favorisce il dialogo e la convivenza civile. E chi, nella storia delle idee, ha profuso impegno in tale direzione, pagandone lo scotto con l’emarginazione e l’oblio, andrebbe più accuratamente ripreso e studiato.