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In passato offrire cibi “fuori stagione” era un segno di distinzione. Era come dissacrare una restrizione popolare e mostrare di poterselo permettere. E osservare la stagionalità era, invece, un’abitudine dei poveri: non per virtù ma perché costretti. Tutti però conoscevano i tempi di maturazione dei diversi frutti. Oggi sono tanti quelli che mangiano cibi stagionali in qualsiasi periodo dell'anno, non per scelta ma per ignoranza. Non ha senso privarsene; quello che è importante è sapere da dove arriva la frutta che mettiamo a tavola
Un vecchio detto del ‘500 sembrerebbe apprezzare il valore della stagionalità: “Il frutto non è buon, fuor di stagione”. Ma alla mensa dei ricchi non sono mai mancate le fragole a novembre come c’informa uno dei più celebri cuochi d’ogni tempo, Bartolomeo Stefani, raccontando le ricette di un fastoso banchetto che egli allestì, nel 1655, alla corte dei Gonzaga, per festeggiare un’ospite di riguardo: la regina Cristina di Svezia. Nel Medioevo e nel Rinascimento offrire cibi “fuori stagione” era un segno di distinzione. Significava fare sfoggio di potere, ricchezza, lusso. Era come dissacrare una restrizione popolare e mostrare di poterselo permettere. E osservare la stagionalità era, invece, un’abitudine dei poveri: non per virtù ma perché costretti.
In passato, però, prendersi il gusto di infrangere una regola presupponeva una profonda conoscenza dei ritmi stagionali. Altrimenti non aveva senso. Oggi non è più così: si mangiano frutti in ogni stagione non già per assaporare il piacere del proibito, ma solo per ignoranza. Non dovremmo, dunque, approfondire le nostre conoscenze sulla stagionalità dei cibi per tornare all’austero stile alimentare campagnolo che gli stessi contadini non amavano, ma per sapere quando per noi un cibo è di stagione e quando non lo è, e semmai lo è per altri che vivono lontano. In questo modo saremo perfettamente consapevoli quando desidereremo rispettare un’antica regola e quando invece la vogliamo trasgredire.
Non è affatto vero che “il frutto non è buon, fuor di stagione”. Era un modo con cui i nostri antenati sublimavano una restrizione a cui erano obbligati dalle circostanze. Un po’ come l’uva della favola di Esopo: era acerba per la volpe solo perché questa non riusciva a raggiungere il grappolo attaccato ad un tralcio troppo alto. Insomma, era una sconfitta da negare. Giungano pure frutti da altre parti del mondo e mangiamo con gusto quel che più ci aggrada. È importante che quando li mettiamo a tavola, sappiamo da dove arrivano.