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Il futuro dell’Afghanistan dopo il G20

Per affrontare la crisi alimentare e umanitaria prioritari sono gli interventi per lo sviluppo sostenibile dell’agricoltura

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Si è svolta a Roma la riunione straordinaria dei leader del G20 sulla crisi alimentare e umanitaria dell’Afghanistan. Nelle sue considerazioni finali, il presidente di turno del G20, Mario Draghi, ha riassunto i punti essenziali delle decisioni prese: 1) le Nazioni Unite hanno un ampio mandato a coordinare tutte le attività a favore dei cittadini afghani al fine di rispondere all’emergenza umanitaria; 2) gli stati dovranno cooperare per evitare il collasso economico dell’Afghanistan e per assicurare a quel Paese una fornitura di servizi pubblici, in particolare dell’istruzione e della sanità; 3) la cooperazione tra gli stati deve garantire la fornitura di vaccini per sostenere una pronta ripresa della campagna di vaccinazione attraverso la struttura COVAX; 4) fornire assistenza ai migranti e ai rifugiati afghani nei paesi vicini, in coordinamento con le agenzie delle Nazioni Unite e le autorità locali; 5) un’attenzione particolare va riservata all’aiuto alle donne e ai bambini; 6) l’Afghanistan non deve diventare di nuovo un rifugio per il terrorismo e, pertanto, gli Stati si impegnano a fornire risorse alla strategia dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, al fine di sradicare una delle principali fonti di finanziamento del terrorismo, vale a dire lo spaccio di droga; 7) gli Stati si faranno carico, anche tramite la Banca Mondiale, di sostenere il governo talebano nella ricostruzione delle istituzioni afghane.

L’economia afghana è fortemente condizionata dalle vicende belliche e dalla diffusa corruzione. Barlumi di crescita economica persistono solo nei settori illegali della coltivazione e del contrabbando del papavero da oppio. Tuttavia, il ritiro delle truppe NATO dal Paese, nel 2014, ha privato il commercio di questa coltura di uno dei suoi sbocchi principali. Con il ripristino dell’Emirato islamico, la situazione economica rischia di aggravarsi ulteriormente.

A caratterizzare l’economia afghana è la forte dipendenza dagli aiuti internazionali che ammontavano solo nel 2018 a 3.792,42 milioni di dollari, pari al 19% del PIL. Ed è proprio la qualità del ruolo degli aiuti esterni ad essere determinanti in questo complicato passaggio della vita nazionale. Saranno capaci gli Stati e le organizzazioni internazionali a orientare gli aiuti nell’interesse delle popolazioni locali per promuovere effettivamente una spinta autopropulsiva?

 

La produzione agricola

Il valore della produzione agricola pesa circa il 20% del PIL e più del 40% della popolazione afghana basa le proprie attività su un’agricoltura di sussistenza. In base ai dati DeAgostiniGeografia.it, nel Paese si coltivano cereali (3.613.300 t. su una superficie di 1.635 ha), patate (615.684 t. su 32.400 ha), cipolle (150.651 t. su 12.509 ha), cocomeri (381.238 t. su 35.795 ha), uva (984.081 t. su 87.515 ha), olivo (7.700 t. su 2.092 ha), sesamo (32.000 t. su 15.000 ha), canna da zucchero (25.421 t. su 1.766 ha), semi di lino (1.486 t. su 2.571 ha), albicocche (18.510 t. su 10.908 ha), fichi (6.073 t. su 1.644 ha), mandorle (34.413 t. su 20.053 ha), noci (10.804 t. su 2.201 ha), agrumi (7.510 t. su 1.219 ha), oppio (4.800 t. su 224.000 ha). È, inoltre, praticato l’allevamento: bovini e bufalini (5.022.606 capi), ovini (14.023.689 capi), caprini (7.749.561 capi). Da cui si ricavano: burro (34.343 t.) e carne (330.636 t.).

I dati sull’utilizzazione del suolo riferiti al 2015 fanno emergere un quadro allarmante: prativo (45,95%) e incolto (39,86) costituiscono la parte preponderante della superficie agricola utilizzabile; mentre solo il 12,12% è arativo e appena il 2,07% è adibito a foreste.

L’Afghanistan è costellato da cime che superano i 7mila metri, è privo di sbocchi sul mare e il territorio è in buona parte costituito da deserti aridi e rocciosi. Fin dai tempi antichi la popolazione si è concentrata nelle vallate più fertili, dedita all’agricoltura e alla pastorizia. In una estenuante lotta per la sopravvivenza, vista la scarsità di risorse. In tali condizioni difficili, lo spazio per uno sviluppo dell’agricoltura ci sarebbe, ma è da vivificare con una progettualità ancora insufficiente ed episodica.

 

 

La coltivazione dell’oppio

Sebbene il cibo scarseggi e un terzo della popolazione afghana soffra la fame, sempre più agricoltori hanno aderito alla coltura dell’oppio, i cui volumi di produzione, negli ultimi due decenni, si sono quadruplicati.

L’oppio è più redditizio del grano e altamente richiesto dai mercati illeciti internazionali, essendo la materia base dell’eroina. E in Afghanistan si produce l’80% dell’oppio presente sul mercato internazionale. Secondo le stime dell’ufficio delle Nazioni Unite dedicato a droga e crimine (UNODC), la produzione afghana di oppio avrebbe fruttato nel solo 2020 circa 350 milioni di dollari.

“L’Afghanistan non sarà più un centro per la coltivazione del papavero da oppio o per il business della droga”. Con queste parole Zabihullah Mujahid, uno dei portavoce talebani, ha annunciato a metà agosto 2021, nella prima conferenza stampa dopo la presa di Kabul, la presunta svolta sulle sostanze stupefacenti. Un mercato che per gli stessi integralisti ha da sempre rappresentato una cospicua fonte di guadagno, come ricostruito dall’UNODC. Secondo un sondaggio effettuato da questo ufficio, nel 2019, nella zona sud-ovest dell’Afghanistan, è il 58% la percentuale delle tasse imposte agli agricoltori sulla coltivazione di papaveri che finiva nelle casse dei talebani. La quota restante si divideva tra potentati locali (15%), fazioni antigovernative (10%), forze di polizia (9%) e altri (8%).

La filiera dell’oppio fornisce ben 120 mila posti di lavoro. Secondo una stima pubblica della BBC l’ammontare dei ricavi si aggira tra i 100 e i 400 milioni di dollari. Se prima l’Afghanistan era solo un Paese esportatore, con il tempo la produzione è cambiata e il Paese è diventato anche raffinatore dell’oppio grezzo in eroina, grazie a migliaia di laboratori sparsi sul territorio. La materia finita poi, giunge sui mercati e transita per tre diverse vie di contrabbando: la via del Nord, del Sud e dell’Ovest. La rotta del Nord, in continua crescita, attraversa i tre Paesi centro-asiatici confinanti: Turkmenistan, Uzbekistan e Tajikistan. La rotta del Sud invece, transita per il Pakistan fino a raggiungere la Cina, l’Oceania, l’Africa e l’America. E infine la rotta dell’Ovest, o rotta balcanica, che attraverso l’Iran raggiunge le piazze europee. Ed è proprio in Iran dove, negli ultimi anni, i trafficanti afghani hanno avviato il contrabbando di efedrina, una sostanza da cui si ottiene la metanfetamina, provocando una vera e propria epidemia giovanile di abuso di stupefacenti.

La coltivazione di papavero da oppio ha origini antiche nel territorio afghano. Esso è inserito in un’area definita “Mezzaluna d’oro”, che include anche Iran, Pakistan e in misura minore India e Nepal e in cui grazie alle condizioni naturali del luogo si coltiva papavero da oppio sin dall’XI secolo. Già persiani e mongoli utilizzavano il prezioso prodotto a scopo medico, in particolare come antidolorifico e sedativo, ma anche con fini ludici, sfruttando il potere euforizzante della morfina al suo interno.

Tuttavia, è stato a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso che il reticolo socio-economico dell’Afghanistan si è avviato verso il baratro anche a causa dell’oppio, offerto a consumi interni e internazionali sotto forma di pasticche di morfina, eroina e in mix a base di hashish e tabacco. In questo modo, il mercato nero nel Paese è cresciuto in modo esponenziale, finanziando le attività paramilitari di gruppi armati coinvolti nelle faide etniche per il controllo del territorio nazionale e segnando un aumento della tossicodipendenza nella popolazione, soprattutto giovanile.

Dopo tre anni in cui la produzione ha toccato i massimi storici, tra il 2016 e il 2018, il mercato sembra oggi saturato. La prospettiva di minori guadagni potrebbe indirizzare i coltivatori locali verso le colture cerealicole, il cui prezzo sul mercato è in crescita a seguito della crisi indotta dall’emergenza pandemica.

 

Gli altri settori economici

Per quanto riguarda gli altri settori economici, vanno rammentati i giacimenti di carbone, rame, petrolio e gas naturale; un gasdotto di 120 km collega Mazār-e Sharīf al confine uzbeco. Nella valle del Panjshir vi sono miniere di smeraldi. Il Paese possiede, inoltre, imponenti giacimenti di terre rare, ancora non sfruttati. Le terre rare sono depositi minerari che si trovano nella crosta terrestre. Mentre, i pochi impianti industriali sono stati distrutti dalla guerra. Proseguono alcune produzioni su piccola scala e attività artigianali come la tessitura di tappeti.

 

I cambiamenti climatici

Dal 1950, nel Paese si è assistito ad una crescita progressiva della temperatura media annuale (aumentata di 1,8 °C), che ha determinato una riduzione dei ghiacciai del Paese del 13%. Inoltre, negli ultimi trenta anni, le precipitazioni sono diventate gradualmente sempre più instabili, con un aumento dei fenomeni di pioggia intensa invernali tra il 10% e il 25% ed una contestuale diminuzione di quelle primaverili. Inoltre, il Paese è stato interessato da periodi di siccità sempre più numerosi e lunghi: se dapprima si verificavano ogni sette anni, oggi ogni tre o quattro anni. A peggiorare la situazione, i conflitti e il vuoto di potere provocati da quarant’anni di guerra ininterrotta hanno portato alla distruzione delle poche infrastrutture idriche, energetiche e di trasporto costruite prima dell’invasione sovietica alla fine degli anni Settanta.

Il Paese va incontro sempre più a cambiamenti climatici estremi: i modelli ottimistici prevedono che entro il 2100 la temperatura media dell’Afghanistan potrebbe aumentare di 2,5 °C, mentre in uno scenario caratterizzato da alte emissioni di gas serra, la temperatura potrebbe aumentare fino a 7 °C verso fine secolo. Le crescenti temperature incideranno ulteriormente sullo scioglimento dei ghiacciai (si prevede una loro riduzione per il 2050 del 25-30%), rendendo l’acqua per le coltivazioni e il bestiame ancora più scarsa. Inoltre, le precipitazioni diventeranno sempre più brevi ma distruttive, aumentando le possibilità di frane mortali e valanghe in un territorio per l’80% montagnoso, desertico o semi-desertico.

In una realtà come quella afghana, dove si alternano siccità e precipitazioni estreme, non avere un sistema idrico efficiente significa condannare un’intera popolazione.

 

Le risorse idriche

La disponibilità di risorse idriche di un Paese è determinata da fattori ambientali ed è fortemente legata a dinamiche interne nonché a scontri e interessi internazionali. L’Afghanistan non è autosufficiente per l’approvvigionamento d’acqua e sono necessari investimenti strutturali e strategici per la gestione e la distribuzione delle risorse. Dai primi anni 2000 la comunità internazionale ha affiancato il governo per aiutarlo a mappare e studiare adeguatamente il territorio, in previsione di progetti a medio e lungo termine. Nonostante le difficoltà, ad oggi sono stati attivati numerosi progetti e programmi con il supporto delle organizzazioni internazionali.

A fronte di queste attività, però, sono venuti a crearsi nuovi attriti: i più importanti fiumi afghani scorrono nei suoi territori solo per alcuni tratti e sono condivisi principalmente con Iran, Pakistan, Tajikistan e Turkmenistan. Oltre a un trattato con l’Iran risalente al 1973, peraltro poco rispettato, non esistono patti o accordi tra Afghanistan e gli altri Stati confinanti sullo sfruttamento di queste risorse.

Nella delicata situazione politica afghana, la gestione inefficiente delle risorse disponibili, portata avanti negli anni, richiede ora interventi importanti su più fronti. Risulta, infatti, necessario potenziare le proprie infrastrutture, adottare tecniche sostenibili nei settori agricolo e/o energetico, e raggiungere accordi internazionali che definiscano chiaramente i diritti di ciascun Paese sull’utilizzo delle risorse comuni.

Della superficie agricola coltivata e costantemente irrigata meno del 10% sfrutta tecniche di irrigazione moderne. La modalità più diffusa è ancora quella che fa affidamento sulla quantità di neve che cade in inverno sulle montagne dell’Hindukush o sugli altopiani centrali.

 

La crisi alimentare

Secondo il “Report di Climate Security”, l’Afghanistan è interessato da una drammatica crisi alimentare e umanitaria: sono più di 13,5 milioni le persone che vivono in una quotidiana condizione di insicurezza alimentare.

La denutrizione è particolarmente preoccupante per le donne, i bambini, gli sfollati, i rimpatriati, i nuclei familiari con donne, le persone con disabilità e i poveri. Nonostante i progressi degli ultimi anni, i tassi di malnutrizione sono ora in aumento e 2 milioni di bambini sono malnutriti.

Ogni anno, circa 250 mila persone in media sono colpite da una vasta gamma di disastri ambientali, tra cui inondazioni, siccità, valanghe, frane e terremoti. L’impatto dei disastri e la dipendenza dall’acqua piovana o da quella che si forma a seguito dello scioglimento della neve costituiscono un forte limite alla produttività del settore agricolo, che fornisce una fonte di reddito per il 44% della popolazione.

Per la prima volta, i residenti urbani soffrono di insicurezza alimentare a tassi simili a quelli delle comunità rurali. La situazione è disastrosa anche tra le classi medie, che un tempo erano in grado di sfamare le proprie famiglie ogni giorno. A causa degli effetti combinati della disoccupazione, del calo del valore della valuta locale e dell’aumento dei prezzi – quello dell’olio da cucina è quasi raddoppiato dal 2020 e quello del grano è aumentato del 28% – solo il 10% delle famiglie che hanno un componente con un’istruzione secondaria o universitaria può permettersi cibo a sufficienza.

Secondo le Nazioni Unite, il 97 per cento della popolazione rischia di essere sotto la soglia della povertà entro il 2022. La mancanza di circolazione di denaro per la chiusura delle banche, la sospensione dei fondi internazionali, l’aumento dei prezzi, il cambio di regime e quello climatico stanno facendo nascere una nuova classe di affamati. Due milioni di minori soffrono di malnutrizione, il 95% delle famiglie non ha abbastanza da mangiare. 14 milioni di persone vivono delle razioni del World Food Programme che continua a lavorare nel Paese avendo deciso di non andarsene, ma ogni giorno affronta una serrata negoziazione con i talebani per poter aiutare la popolazione.

Urgono interventi urgenti per salvare il prossimo raccolto di grano in Afghanistan, mantenere in vita gli animali da allevamento ed evitare un deterioramento della già grave crisi umanitaria del Paese. A lanciare l’appello era stato il direttore generale della FAO, Qu Dongyu, nella conferenza che si è svolta a Ginevra il 13 settembre scorso per iniziativa del segretario generale dell’ONU, António Guterres. “Dobbiamo mantenere gli agricoltori nei loro campi e i proprietari di bestiame con le loro mandrie – ha detto – per prevenire una crisi più profonda, che potrebbe comportare maggiori esigenze umanitarie in futuro”. La FAO ha chiesto 21 milioni di dollari in finanziamenti urgenti per colmare un gap nella sua risposta umanitaria, che attualmente ammonta a 36 milioni di dollari. L’obiettivo è garantire la copertura dell’imminente stagione invernale della semina del grano e fornire mezzi di sussistenza basati sull’agricoltura per 3,5 milioni di afgani considerati vulnerabili fino alla fine dell’anno.

Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, intervenendo all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 24 settembre 2021, aveva ripreso la questione: “La situazione umanitaria in Afghanistan è infatti la più immediata e condivisa preoccupazione, anche per l’approssimarsi della stagione invernale. Secondo il WFP, una persona su tre nel Paese è esposta a insicurezza alimentare. L’Italia ha fiducia nella capacità del sistema delle Nazioni Unite di coordinare la risposta umanitaria internazionale, mobilitando risorse e assicurando un intervento rapido e coerente. Ringrazio il segretario generale per aver organizzato la “pledging conference” di Ginevra, in cui i Paesi si sono impegnati a stanziare circa 1,2 miliardi di dollari in aiuti umanitari per l’Afghanistan. Il Vertice straordinario del G20 dovrà dare massimo sostegno a questi obiettivi”.

Per affrontare la crisi alimentare e umanitaria in Afghanistan occorre dare priorità a interventi per lo sviluppo sostenibile dell’agricoltura. Si tratta di agire sul versante della diversificazione e intensificazione produttiva, mediante l’innovazione tecnologica. Il Panel Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici (IPCC), consiglia l’uso di NGT e, in particolare, del CRISPR (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats) – premiato col Nobel 2020 a due ricercatrici – per migliorare e adattare le piante ai cambiamenti climatici in corso, riducendo così le emissioni di altri gas ad effetto serra che surriscaldano il pianeta. Inoltre, nel documento “Framework 2022-2031” (marzo 2021) della FAO c’è scritto: “Vi è un crescente riconoscimento della digitalizzazione e delle cosiddette nuove tecnologie che abbracciano tutti gli approcci, i sistemi, gli strumenti e le innovazioni disponibili, compreso un insieme coordinato di biotecnologie come editing del genoma (o editing genetico), in particolare CRISPR-Cas13 o biologia sintetica, dove la genetica materiale di un organismo può essere sintetizzato. Progressi nella ricerca alimentare e medica nell’area di la genomica, la lavorazione degli alimenti e la progettazione/formulazione di farmaci, possono portare sempre più a “cibi personalizzati” per affrontare specifiche condizioni di salute. Si tratta di un settore in rapida evoluzione in cui sarebbe necessaria una guida e una supervisione per giungere ad una regolamentazione”.

 

Gli interventi agricoli delle organizzazioni internazionali

Da diversi anni le organizzazioni internazionali intervengono con progetti e aiuti per lo sviluppo rurale dell’Afghanistan.

Dopo la forte siccità, che aveva colpito il Paese tra il 2017 e il 2018, l’agricoltura afghana, in alcune regioni, ha ricominciato a crescere in maniera molto promettente. Le misure preventive e di sicurezza adottate a seguito del Covid-19 hanno avuto un impatto limitato sul settore agricolo. Tuttavia, le difficoltà non sono mancate e con la pandemia ancora in corso non è improbabile ci siano degli effetti negativi sul lungo termine.

L’economia agricola dipende dall’importazione di diverse materie prime. Dai Paesi vicini, principalmente dal Pakistan, si sono però sempre importati prodotti non qualificati. Oltre al rafforzamento della produzione di sussistenza di prodotti tipicamente afghani, tra cui cereali e frutta secca, le autorità locali, in collaborazione con le organizzazioni internazionali, propongono, dunque, una diversificazione delle varietà agricole, in modo da rendere l’Afghanistan meno dipendente dall’estero. Esiste già un export regionale di prodotti agricoli che copre circa il 70% dell’export agricolo totale del Paese.

Le donne sono le grandi protagoniste del settore agricolo. Nonostante siano ancora soggette a diversi gradi di emarginazione economica e sociale, anche in agricoltura, le donne afghane rappresentano un tassello fondamentale per la lotta all’insicurezza alimentare e alla povertà, nonché un elemento cardine per lo sviluppo economico del Paese. Negli ultimi anni sono aumentate sempre più occasioni e realtà di empowerment e microimprenditorialità al femminile.

La FAO, insieme a IFAD, ha assistito dal 2014 circa 4 mila donne in aree rurali con diversi corsi di formazione sulla gestione del bestiame, la mungitura igienica e la commercializzazione del latte.

Naturalmente la promozione delle donne si potrà realizzare se si affronteranno le problematiche culturali, etniche, religiose e quelle legate all’istruzione, che in una realtà fortemente tradizionale come quella afghana non possono essere sottovalutate. Per questo motivo, sono necessari anche programmi educativi, di sensibilizzazione e nuove regolamentazioni per poter instillare il necessario cambiamento di prospettiva nei confronti del ruolo socioeconomico delle donne.

Oltre agli interventi a sostegno delle donne, la FAO sta realizzando progetti legati alla riforestazione, all’espansione dell’irrigazione, alla gestione delle acque di campo e alla gestione sostenibile del territorio. L’obiettivo è quello di proseguire in tali attività anche adesso che sono tornati i talebani al governo del Paese.

 

Bamiyan: un percorso virtuoso che rischia di interrompersi

Ci sono iniziative di sviluppo in diverse regioni che rischiano di fermarsi. Significativa è quella che si sta realizzando nel regno degli hazara, la provincia abitata dalla minoranza sciita. Qui si trovano due enormi nicchie vuote, dove per 1.700 anni stavano due monumentali Buddha, distrutti dai talebani a colpi di dinamite e di cannone. Era il 2001, precisamente marzo, il mese in cui gli eventi iniziarono a precipitare fino al 9 settembre, con l’assassinio del comandante Massoud, eroe anti-talebano, e l’assalto alle torri gemelle di New York, seguiti dall’invasione americana dell’Afghanistan il 7 ottobre. Fu il culmine delle distruzioni in un Paese martoriato da 20 anni di guerre, prima contro i russi e poi tra afghani. Bamiyan, la cittadina dei Buddha che dà il nome all’omonima provincia, aveva molto sofferto, a causa di una dura repressione. Gli estremisti sunniti telebani, al potere dal 1996, vedevano negli hazara, l’etnia di origine mongola e fede sciita che abitano quelle valli, come idolatri infedeli. La resistenza che avevano opposto all’occupazione aveva acuito la ferocia dei loro carnefici, che avevano trucidato migliaia di persone.

La sorte ha voluto che quel cuore abbia ripreso a pulsare presto, facendo di quegli altipiani dai tratti lunari tra i monti del Hindukush un modello di sviluppo per l’intero Paese. Un luogo d’incontro tra enti governativi, tra cui il Governo italiano, ONG straniere e locali e piccole charity di eroi romantici, tra cui Marco Niada, presidente del Comitato Arghosha Faraway Schools. Questa charity finanzia progetti di educazione in Afghanistan. Dal 2005 a oggi Arghosha ha finanziato la costruzione di 13 scuole (per oltre 5000 allievi, di cui 3500 alunne), la riqualificazione di 300 insegnanti, 20 borse di studio universitarie femminili e l’alfabetizzazione di 500 donne nelle province di Bamiyan e Daikundi.

Niada ha raccontato sul “Sole 24 Ore” del 19 settembre 2021 questa esperienza. L’emancipazione femminile ha permesso a molte donne di partecipare al mondo del lavoro ed educarsi più rapidamente. La prima e unica governatrice di una provincia afghana, Habiba Sarabi, ha impresso tra il 2005 e 2013 un segno indelebile in termini di operosità e onestà che ha permesso ai suoi successori di massimizzare le poche risorse disponibili.

La bellezza del territorio, tra patrimonio artistico e naturale, come i leggendari laghi turchesi di Band e Amir, avevano permesso negli ultimi anni il decollo di un turismo interno, portando decine di migliaia di afghani a godere dei luoghi, complice la creazione di un parco naturale attorno ai laghi. I campi sono rigogliosi e ordinati, gli aratri in legno hanno ceduto il passo a trattori in zone più ricche e fertili come la valle di Folady. Le irrigazioni si moltiplicano. Le mandrie di mucche brulicano nelle valli più basse del distretto di Yakawlang. Nell’agricoltura, l’impulso delle fondazioni dell’Aga Khan è stato determinante. Costruendo l’economia dal basso, permettendo prima lo sviluppo agricolo e poi la creazione di plusvalore da commerciare, gli aiuti sono giunti per costruire magazzini in muratura per conservare le patate che in quelle valli sono di ottima qualità e vendute in tutto il Paese e perfino esportate in Pakistan.

Il timore è che questo piccolo miracolo si sia concluso con l’arrivo dei talebani. Costoro odiano la musica, lo sport, il turismo, specie se straniero, i giochi, l’arte umanistica. In pratica tutto quello che può essere definito il core business di Bamiyan. E così il cuore dell’Afghanistan si è messo a rallentare. Le scuole restano aperte, anche se le ragazze sono sottoposte a restrizioni di età. Non resta che attendere e sperare.

 

 

 

 

 

 

 

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