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Corrado Augias risponde ad un lettore di “Repubblica” con l’atteggiamento tipicamente laicista di chi osserva quanto avviene nelle chiese senza sentirsi per nulla coinvolto. Ma il problema che le religioni non si rinnovino e non adottino il principio di laicità nel dialogo interculturale riguarda tutti, indipendentemente se si è credenti o non credenti. E lo scontro che su questo punto avviene nelle chiese non è un affare interno ad esse che non ci riguarda
Tra le lettere a Repubblica del 16 marzo scorso c’è quella di un lettore di Milano, Antonio Spinelli, su cui vale la pena soffermarsi per fare qualche riflessione. Egli commenta un recente libro di Antonio Socci intitolato La profezia finale, deducendone un’amara considerazione: “C’è in questo libro la prova che tutte le religioni monoteistiche hanno un fondo ineliminabile di fanatismo”. E trae questo giudizio dall’argomento usato dall’autore per attaccare il pontificato di Francesco: lo specifico del cristianesimo non sarebbe, secondo Socci, aiutare i poveri o preoccuparsi della crisi ecologica, quanto celebrare il mistero dell’Eucarestia e diffondere i dogmi della Chiesa. Spinelli, dunque, si chiede: “Papa Francesco che ne pensa? Crede nei miracoli e che solo i santi cristiani possono farli? Nel suo dialogo con le altre religioni, è disposto ad ammettere che il cristianesimo non è più ‘vero’ o più valido di altre fedi?”. E conclude: “Penso che papa Francesco, purtroppo, possa influire poco sui destini del mondo, nonostante le migliori intenzioni. (…) Dato che il popolo dei fedeli ha bisogno di dogmi forti e di miracoli, alla fine vincerà Socci”.
Benché pervasa di amaro pessimismo, la lettera è interessante perché coglie nel papato di Francesco un punto debole, una contraddizione che quasi nessuno, finora, ha messo in risalto: la sua ampia disponibilità ad un confronto con le altre religioni e con le altre culture non è affatto accompagnata da un’altrettanta disponibilità a mettere in discussione quelle parti della dottrina che impediscono questo dialogo. Nell’enciclica Laudato sì, ad esempio, il pontefice enfatizza le “convinzioni di fede” come “motivazioni alte” per prendersi cura della casa comune, quasi che le motivazioni dei diversamente credenti e dei non credenti non fossero sufficienti e adeguate per un impegno in direzione del superamento della crisi ecologica. Un altro aspetto problematico riguarda il rapporto tra tecnologie e società su cui sono maturati nel tempo molteplici approcci culturali che potranno confrontarsi solo acquisendo, come criterio comune e condiviso, quello della razionalità/ragionevolezza. In altre parole, un dialogo fino in fondo tra diverse fedi e tra diverse culture è possibile solo se tutti i partecipanti adottino il principio di laicità e, dunque, il criterio della razionalità/ragionevolezza nel costruire un’etica globale condivisa. Il lettore di Repubblica incalza il papa ad assumere un atteggiamento laico per dimostrare la sua reale intenzione a creare le condizioni per un impegno comune volto a risolvere i problemi drammatici della casa di tutti.
Corrado Augias non coglie questa esigenza e risponde al lettore di Repubblica con l’atteggiamento tipicamente laicista di chi osserva quanto avviene nelle chiese senza sentirsi per nulla coinvolto. Dopo aver descritto brevemente i termini dello scontro interno alla Chiesa cattolica, individuando nei tradizionalisti i difensori ad oltranza di una visione limitata ai dogmi e alla fede e negli innovatori una visione proiettata, invece, verso l’esterno, cioè attenta ai mali e alle ingiustizie della società, il giornalista se ne lava le mani con questa considerazione molto distaccata: “La domanda, e la curiosità, di un laico è vedere che cosa la Chiesa finirà per fare di se stessa: chiudersi nella contemplazione dei suoi misteri o cercare di dare una mano per guarire il mondo? (…) L’eventuale prevalere dei vari Socci non mi sembrerebbe francamente un gran vittoria”.
Ma il problema che le religioni e le chiese non si rinnovino e non adottino il principio di laicità nel dialogo interculturale riguarda tutti, indipendentemente se si è credenti o non credenti. E lo scontro che su questo punto avviene nelle chiese non è un affare interno ad esse che riguarda solo chi aderisce a quelle specifiche comunità di fede. Laicità è sinonimo di autonomia nella definizione delle norme del comportamento morale che non significa rinuncia alle proprie convinzioni, ma rimozione di ogni pretesa ad imporle agli altri. Continuare ad assumere – come la gran parte della cultura laica ha fatto in questi decenni – un atteggiamento neutrale nello scontro che, dal Concilio Vaticano II in poi, si è consumato nella Chiesa tra innovatori e tradizionalisti, non ha aiutato affatto il processo di rinnovamento nel mondo cattolico. In un mondo sempre più multiculturale e multideale (sui temi più svariati che vanno dalle religioni alle convinzioni riguardanti l’ecologia o il rapporto tra tecnologia e sviluppo umano), battersi per ascoltarsi reciprocamente, assumere il dovere e il rischio del dialogo fino in fondo da parte di tutti e richiedere, pertanto, da parte di tutti i dialoganti – compreso il papa – un atteggiamento laico, è diventato un imperativo categorico a cui nessuno – tra coloro che dichiarano di avere a cuore le sorti dell’umanità – può più sottrarsi. In una realtà fortemente interconnessa, non si dovrebbe assistere indifferenti alla partita che si svolge nelle chiese per prendere atto di chi vince e chi perde, ma occorrerebbe un impegno nel sostenere gli innovatori in ogni modo, anche criticando un papa innovatore come Bergoglio, quando sbaglia una mossa e dà spazio ai conservatori nel ritardare il cambiamento. Essere laici significa anche questo.
1 Responses to Il dovere e la fatica della laicità