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Bisogna utilizzare il periodo del commissariamento del Campidoglio per realizzare una vera e propria fase costituente e andare al voto con una nuova governance per la città e per il PD romano. Ci sono quindi due appuntamenti da fissare quanto prima: l’Assemblea nazionale del PD che deve procedere alle modifiche statutarie e la Conferenza programmatica del partito aperta alla società civile che deve elaborare la proposta della nuova governance di Roma capitale.
Il commissario Matteo Orfini e il gruppo capitolino del PD non avevano altra scelta che fermare Ignazio Marino, ormai privo di credibilità e autorevolezza. Un sindaco non può governare una città contro il proprio partito a meno che non sia in grado di formare una nuova maggioranza. Ma a quel punto deve abbandonare il partito di appartenenza. Utilizzare un ruolo istituzionale come arma di lotta politica contro i vertici del proprio partito è immorale perché le istituzioni sono di tutti. Un sindaco di una grande città non può svolgere il proprio ruolo in perenne conflitto con il governo centrale perché produce danni irreparabili ai propri concittadini. Anche se la sua parte politica dovesse stare all’opposizione nel paese, per poter svolgere la propria funzione un sindaco ha bisogno di operare in un clima politico in cui prevalga il dialogo e il rispetto reciproco, come si conviene tra avversari che non sono nemici.
Non sembri fuori luogo il richiamo ad un sindaco molto amato dai romani, Luigi Petroselli, e al suo ultimo discorso in un infuocato comitato centrale del Pci, qualche minuto prima che un infarto lo stroncasse. Egli denunciò, in quell’occasione, il riemergere nel partito romano di tendenze massimaliste e settarie e anche plebee che alimentavano un clima tra i partiti che ostacolava il governo della città. Parlò di “regressione delle tradizioni più vive del Pci”, di un “rifiuto della politica” che egli aveva riscontrato in molte sezioni comuniste di Roma. E pose al gruppo dirigente nazionale un problema che lo assillava: “I temi cruciali della nostra lotta, la questione morale, la rigenerazione, l’alternativa democratica richiedono un partito che sia capace di sprigionare, di produrre un ‘di più’ di politica”.
Per governare Roma, per liberarla dalle mafie e lanciarla verso il futuro, occorre anche oggi un ‘di più’ di politica. Questo è l’insegnamento che ci viene dalle nostre migliori tradizioni. E la politica è capacità trasformatrice sulla base di un programma coerente di cambiamento da elaborare in un rapporto fecondo coi cittadini e con la società civile.
Con lo scioglimento dell’Assemblea capitolina, la conclusione dell’esperienza Marino e la cessazione dell’operatività del Consiglio metropolitano, termina la pars destruens e deve adesso incominciare la pars construens del discorso sulle prospettive di Roma. Bisogna utilizzare il periodo del commissariamento del Campidoglio per realizzare una vera e propria fase costituente e andare al voto con una nuova governance per la città e per il PD romano. C’è un nesso molto stretto tra superamento del bicameralismo perfetto, nuova legge elettorale proporzionale a correzione maggioritaria, disciplina pubblica delle primarie, ordinamento dei partiti e federalismo perché c’è da stabilire un equilibrio, con pesi e contrappesi, al nuovo impianto istituzionale del sistema paese. E, nel nuovo quadro da costruire, un tassello fondamentale è l’ordinamento di Roma capitale, i suoi poteri, la delimitazione della sua area metropolitana, il ruolo dei suoi Municipi.
La fase costituente deve necessariamente essere aperta dal PD nazionale perché è la nazione che deve proporre il nuovo assetto della sua capitale ed è il partito nazionale che deve riorganizzare, nel proprio statuto, l’impianto federalista e la partecipazione di tutti i cittadini romani che si riconoscono nella proposta politica del PD.
Dopo le scelte compiute con le riforme costituzionali e la legge elettorale – da completare con un nuovo assetto delle regioni, una disciplina pubblica delle primarie e una legge che regolamenta i partiti – il PD deve confermare definitivamente i suoi caratteri originari: vocazione maggioritaria, riconoscimento del ruolo della leadership a tutti i livelli istituzionali, impianto organizzativo federalista e carattere aperto delle adesioni. I sindaci e i presidenti delle regioni proposti dal PD devono essere anche i leader del partito al livello territoriale corrispondente. I circoli sono soci costituenti e componenti dell’Assemblea del livello superiore e così via.
Ci sono quindi due appuntamenti da fissare quanto prima: l’Assemblea nazionale del PD che deve procedere alle modifiche statutarie e la Conferenza programmatica del partito, aperta alla società civile, che deve elaborare la proposta della nuova governance di Roma capitale.
Si tratta di aprire immediatamente il dibattito nei circoli su un impianto programmatico che tenga insieme contestualmente: a) la proposta di legge per l’ordinamento di Roma capitale che indichi i poteri da attribuire al nuovo ente comparabili coi poteri attribuiti alle capitali dei più grandi paesi europei; b) la proposta di un’omogenea e vera “area capitolina e metropolitana” unificando in Roma capitale Comune e Città Metropolitana e trasformando in Comuni Metropolitani i Municipi di Roma, nonché le Comunità e i Comuni limitrofi; c) la proposta di una nuova organizzazione del PD in due unioni regionali (una per Roma capitale e l’altra per la restante parte del Lazio) a base federativa, considerando i circoli quali soci costituenti e componenti dell’assemblea regionale.
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