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CORVIALE. Apriamo il cantiere

Intervento introduttivo al Seminario "Apriamo il cantiere. Per una crescita intelligente e inclusiva dell'ecosistema rurale-urbano e digitale" che si è svolto il 22 maggio 2013 nella Biblioteca "R. Nicolini" a Corviale.

corviale

“Corviale può trasformarsi da problematico aggregato insediativo in aggregatore di socialità positive. E tale processo può avvenire perché Roma non cresce più come espansione di nuove articolazioni di un unico insediamento originario, bensì come sviluppo di ulteriori centralità mediante dinamiche sociali autonome. Tuttavia, per favorire il percorso bisogna guardare all’intero Quadrante entro cui il complesso edilizio è collocato e, al contempo, all’insieme dei problemi della Città Metropolitana.

Corviale sta già faticosamente cambiando sotto la spinta di processi spontanei della società civile. Si tratta, dunque, di accompagnare tale trasformazione attivando un percorso partecipativo che permetta di: a) sviluppare conoscenza collettiva per individuare e affrontare i problemi complessi; b) potenziare l’economia civile per creare legami comunitari, capacità diffuse e welfare produttivo; c) progettare il territorio oltre l’urbano e l’agricolo per migliorare la qualità paesaggistica, l’efficienza energetica e in generale laresilienza dell’ecosistema romano (cioè la sua capacità di ripristinare la condizione di equilibrio).

Essenziale è coinvolgere con metodo la pluralità degli interlocutori pubblici e privati che hanno, a diverso titolo, interesse e competenza a intervenire, con l’intento di ridefinire visioni, regole e infrastrutture legate ad una gestione innovativa dei comportamenti istituzionali e privati. Si tratta, infatti, di produrre innovazione sociale in ambiti strategici della riqualificazione urbana. Si pensi solo al tema del Cibo: esso lega in modo stretto le persone, la vita delle comunità, la gestione dei processi produttivi e di creazione di valore, con la salute e la qualità della vita, la capacità creativa, l’interazione con le risorse naturali, con la terra e la biodiversità, la loro gestione e salvaguardia, la gestione e la produzione di rifiuti, la salvaguardia dell’aria e dell’acqua.

Sono tutti aspetti che pongono l’esigenza di una diversa regolazione del metabolismo urbano ovvero dei procedimenti che regolano il funzionamento della produzione, trasformazione, uso e gestione dei rifiuti connessi alle funzioni alimentari, al fine di innalzare la resilienza e ridurre l’impronta ecologica connessa a tali funzioni.

Ma il processo partecipativo  va alimentato riattivando l’entusiasmo della consapevolezzadella complessità dei problemi e la fraternità civile primordiale, propria delle società rurali, poiché si tratta di produrre forme collaborative di organizzazione (co-produzione di servizi innovativi e co-governance) che l’erosione prolungata di beni relazionali ha reso difficoltose fino a radicare l’idea di una loro ormai definitiva impraticabilità.

 Apriamo il cantiere di Coltiviamo insieme Corviale formulando cinque proposte operative su cui intendiamo confrontarci con altre aggregazioni sociali esistenti nella Città di Roma e con le istituzioni (Regione, Provincia, Comune).

 

Una prima proposta concreta è quella di creare una piattaforma di conoscenze e competenze sulle Agricolture civili e sul Cibo presso una struttura che si occupa di sviluppo locale (Camera di Commercio, un Polo formativo o altro). Dovrà essere una piattaforma non già di assistenza tecnica ma di confronto, un luogo dove federare i diversi progetti che si sviluppano nella Città, far dialogare diverse competenze di ricerca, darsi in modo condiviso criteri più selettivi e fare prove di ulteriori aggregazioni di gruppi e iniziative in vista della Programmazione dei Fondi europei 2014-2020.

La seconda proposta operativa è quella di presidiare i tavoli tecnici dove si stanno elaborando i documenti programmatici per l’utilizzo dei Fondi europei 2014-2020. Tra le priorità strategiche dell’Accordo di Partenariato (documento unico nazionale per i tre Fondi europei) ci sono le Città. E’ indispensabile che tra le tipologie dei progetti pilota figurino le Agricolture civili e i Piani del Cibo. Così come è irrinunciabile che i Programmi operativi della Regione Lazio individuino la riqualificazione dei territori rurbani di Roma tra le priorità strategiche e adottino l’approccio Leader, individuando uno strumento plurifondo.

La terza proposta concreta è quella di produrre una legislazione regionale per la rigenerazione rurbana integrata. Si tratta di normare prioritariamente quattro aspetti: 1) costituire un Osservatorio regionale per la riqualificazione dei territori rurbani e periurbani del Lazio con il coinvolgimento delle Città, della società civile e del sistema della Conoscenza; 2) predisporre una serie di incentivi per incrementare gli spazi verdi urbani (ai sensi della Legge n. 10/2013); 3) riconoscere come rurali i fabbricati situati in aree agricole e adibiti per fornire servizi sociali, didattico-educativi, culturali, ricreativi e turistici; 4) imporre alle amministrazioni pubbliche della Regione di prevedere punteggi aggiuntivi alle produzioni locali nelle gare per la fornitura di mense collettive.

La quarta proposta operativa è quella di affrontare definitivamente il problema delle terre pubbliche trasferendo la proprietà dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province e dai Comuni a organismi collettivi controllati e partecipati dalle popolazioni locali. In sostanza,  i terreni agricoli di proprietà pubblica andrebbero venduti, ai valori di mercato, a società appositamente costituite, che li pagano finanziandosi sul mercato dei capitali, attraverso l’emissione di titoli garantiti dal valore del patrimonio acquisito. Tali società dovrebbero essere controllate da soggetti del Terzo settore e dell’economia civile e aperte alla partecipazione popolare mediante forme di azionariato diffuso. Si creerebbero così dei soggetti collettivi, direttamente partecipati dalle comunità locali, che subentrerebbero alla proprietà pubblica (e dunque alle istituzioni e al sistema politico) e garantirebbero l’inserimento negli statuti delle imprese di tre vincoli essenziali: la tutela dei beni ambientali, il mantenimento della destinazione d’uso per i beni agricoli e l’inalienabilità a privati.

La quinta proposta concreta è quella di prepararsi a partecipare come Agricolture civili e Comunità di Cibo di Roma alla manifestazione Milano Expo 2015 dedicata al tema “Nutrire il Pianeta”. Si tratta di cogliere questa straordinaria opportunità per dare visibilità a livello mondiale ai nostri progetti e attività e, nello stesso tempo, per partecipare all’organizzazione di iniziative culturali e di confronto con altre Città metropolitane sui temi della rigenerazione dei territori rurbani e sulla pianificazione territoriale del Cibo.

Per attuare queste cinque proposte andrebbero messe a fuoco tre distorsioni socio-culturali e politiche che si sono prodotte nei decenni scorsi nella concezione dello sviluppo della Città di Roma. E andrebbero superati i conseguenti ritardi nell’intercettare due fenomeni che hanno messo in discussione vecchi paradigmi.

 

La prima distorsione da porre in risalto riguarda il rapporto tra Roma e la sua Campagna. Da una visione sistemica del territorio romano – tipica della cultura tecnica, economica e sociale della prima metà del Novecento quando si produssero significativi esperimenti di bonifica integrale con interventi idraulici, civili, urbanistici, socio-educativi e igienico-sanitari – si è passati nel secondo Dopoguerra a una visione urbanocentrica, caratterizzata dalla separazione e frammentazione delle funzioni urbane e dalla riduzione delle aree agricole, di fatto, ad un ruolo di mera riserva in attesa di essere edificate.

Inoltre, da una visione integrata del paesaggio agrario – nel senso che ad esso dava Emilio Sereni come “forma impressa dall’uomo, nel corso e ai fini delle sue attività produttive agricole, al paesaggio naturale” – si è passati a una visione meramente naturalistica del paesaggio. E tale cambio di ottica ha prodotto una sorta di “divisione del lavoro” (un perenne e infruttuoso armistizio!) tra chi pianifica e realizza i quartieri e i servizi a questi connessi e chi gestisce le aree agricole sempre più residuali, a partire dalle aree protette.

Gli esiti nefasti di tali involuzioni culturali sono sotto gli occhi di tutti: sfregio del paesaggio, saccheggio delle risorse, disagio sociale, disattivazione agricola e impoverimento della componente rurale.

La seconda distorsione riguarda il rapporto tra Roma e il Cibo.  Nei primi decenni di Roma Capitale d’Italia, “Annona” e “Polizia rurale” erano accorpati in un unico Ufficio. Si era, infatti, convinti che la Capitale dovesse trarre, almeno in parte, dall’Agro le derrate alimentari per la sussistenza della popolazione. Inoltre, il Comune si occupava degli aspetti igienico-sanitari degli alimenti e il sistema distributivo era imperniato sui mercati rionali e, dunque, sul rapporto diretto che i contadini intrattenevano con gli abitanti dei quartieri della Città. Da questa visione integrata del Cibo si è passati a una gestione frammentata e specialistica degli interventi, separata dal punto di vista decisionale, che ha generato, di fatto, asimmetrie e incoerenze e, quindi, scarsa efficacia degli esiti. La regolazione dei rapporti con il sistema della produzione primaria è stata demandata alla politica agricola comunitaria. Mentre la regolazione delle strutture distributive è stata fatta rientrare nei piani del commercio e nelle politiche urbanistiche. E così dalla centralità della rete dei mercati e dei piccoli negozi alimentari si è passati a quella della grande distribuzione organizzata.  

Nel nuovo contesto, le politiche educative e sanitarie hanno tentato invano di contenere i problemi derivanti da un rapporto tutto privato tra sistema distributivo – interessato alla vendita più che all’efficienza di sistema – e i consumatori spesso poco protetti di fronte alle lusinghe commerciali. Gli esiti di questa distorsione si ripercuotono negativamente sulla salute delle persone (con la crescita dei disturbi alimentari), sullo spreco di risorse(produzioni che richiedono grande consumo di energia, acqua, sostanza organica),sull’equità sociale (nell’accesso al Cibo, ma anche in termini di correttezza nelle relazioni di filiera e di compressione dei diritti dei lavoratori).

La terza distorsione si è creata nel rapporto tra Roma e il sistema della Conoscenza nell’ambito agricolo e agroalimentare. Dai primi decenni del Novecento, l’amministrazione capitolina e la Provincia di Roma avevano dedicato attenzione all’insediamento nella Città di importanti istituzioni della ricerca e della sperimentazione in agricoltura. Nel territorio romano sono, infatti, tuttora collocati i 6 Istituti Sperimentali (specializzati in genetica e genomica animale e vegetale, fisiologia e patologia delle piante, frutticoltura, zootecnia e meccanica) e diverse unità di ricerca (dal clima all’enologia), che fanno capo al Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA). Vi è poi il Dipartimento Agroalimentare del CNR che riunisce 10 istituti. Alla Casaccia l’ENEA è attivo prevalentemente nel campo delle biotecnologie attraverso l’Unità Tecnico-Scientifica Biotecnologie, Protezione della Salute e degli Ecosistemi, impegnata prioritariamente nei progetti di ricerca agricola. A Capannelle ha la sede centrale l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana. Nella Capitale hanno sede le principali agenzie dell’ONU che si occupano dei problemi della sicurezza alimentare mondiale: la FAO (Food and Agricolture Organization), l’IFAD (International Fund for Agricolture Development) e il PAM (Programma Alimentare Mondiale). Infine, a Roma sono sorti due Istituti Tecnici Agrari Statali e un Istituto Professionale per l’Agricoltura.

Da una particolare sollecitudine a ospitare in modo adeguato istituzioni importanti della ricerca e dell’istruzione in agricoltura si è passati – negli ultimi decenni – a un totale disinteresse degli enti locali come dimostra il loro disimpegno nel bloccare il processo di smantellamento della ricerca e il fatto che, pur triplicandosi il numero delle Università degli Studi a carattere pubblico nella Capitale, in nessuna di queste si è pensato di istituire le Facoltà di Agraria e di Veterinaria. L’effetto di un’indifferenza siffatta è la completa sconnessione tra il sistema della Conoscenza e il sistema produttivo agricolo locale.

Tali distorsioni hanno d’altronde prodotto una disattenzione a due fenomeni di enorme importanza che si sono verificati nell’ultimo scorcio del secolo scorso.

Il primo è il cambio di paradigma dell’innovazione in agricoltura. Il settore primario è sempre più al centro di un sistema che viene definito “bioeconomia”, cioè un’economia basata sull’utilizzazione sostenibile di risorse naturali rinnovabili e sulla loro trasformazione in beni e servizi finali o intermedi.

Sicché si è passati da un’innovazione agricola fondata prevalentemente sulla meccanica e la genetica a un’innovazione che colloca il settore primario in un ambito esteso alle biotecnologie, alle bioenergie e alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.  E’ questa la nuova frontiera tecnologica della sicurezza alimentare mondiale che richiede un approccio alla sostenibilità, alla multifunzionalità, alla valorizzazione del paesaggio e al benessere psico-fisico.

L’altro fenomeno meno recente – perché prende corpo già a metà degli anni Settanta – ma passato inosservato è quello della nuova ruralità. Una volta esauritasi la fase che aveva caratterizzato in forme bibliche l’emigrazione dalle campagne verso le città e dal Mezzogiorno verso il Nord e le aree metropolitane, compresa Roma, ha preso avvio il fenomeno del controesodo. Singoli individui e gruppi si sono spostati dalla Città verso le aree periurbane e continuano a farlo. Non si tratta soltanto di soggetti di estrazione cittadina, ma anche di persone nate in famiglie agricole, le quali, dopo un periodo di lavoro in fabbrica o in ufficio, si sono messe alla ricerca di stili di vita e forme dell’abitare meno stressanti e più sostenibili. Sono cresciute così nella Campagna romana attività agricole e rurali meno industrializzate e più legate a logiche di competizione di tipo cooperativo.

Da una ruralità di esodo si è, dunque, passati a una ruralità di immigrazione. Da una ruralità di inerzia a una ruralità di iniziativa. Da una ruralità di miseria a una ruralità di benessere.

Solo inizialmente e per un breve periodo, negli anni Settanta, la progettualità amministrativa che caratterizzava il Comune, la Provincia e la Regione nelle politiche agricole e in quelle socio-sanitarie permise l’avvio delle prime esperienze di agricoltura inclusiva nella Campagna romana, mediante l’insediamento di gruppi giovanili di estrazione urbana su terreni di proprietà pubblica. Si trattò di un accompagnamento forse inconsapevole di un processo sociale di cui non erano chiari i contorni di lungo periodo. Si interpretò il fenomeno come qualcosa di fugace ed effimero, destinato ad estinguersi rapidamente, e non si dette continuità allo sviluppo di tali iniziative.

Nonostante il lungo disinteresse dei decenni successivi e la continua sottrazione di spazi all’agricoltura, la Campagna di Roma presenta ancora risorse notevoli. Dai dati del Censimento agricolo del 2010, si evince, infatti, che le aree agricole della Capitale hanno un’estensione di 30 mila ettari, pari al 20% del territorio comunale. In esse vivono2500 aziende agricole, caratterizzate da una significativa presenza di giovani (soprattutto donne) con elevati livelli di istruzione. A tali strutture vanno aggiunte quelle micro realtà agricole in cui non si svolgono attività rivolte al mercato. Queste sono gestite da famiglie, associazioni e strutture pubbliche e costituiscono una fonte notevole non solo di autoconsumo alimentare ma soprattutto di benessere psico-fisico.

Va, inoltre, rilevata una nuova centralità del cibo dovuta a sensibilità e attenzioni che sempre più i cittadini manifestano per la salute, i prodotti locali, quelli con bassa impronta ecologica in termini di contenuti di CO², fino ai prodotti delle fattorie sociali, il cui acquisto diventa un altro modo di sostenere progetti di welfare produttivo.

Questa riscoperta del Cibo si concretizza in un rinnovato rapporto diretto tra produttori agricoli e cittadini mediante una molteplicità di forme: vendita diretta in azienda, vendita on line, farmer’s market, Gruppi di Acquisto Solidale (GAS), forniture dirette per la ristorazione collettiva, piccole botteghe che facilitano e accompagnano l’incontro tra produttori e consumatori, ecc.

L’emergere di pratiche innovative sul Cibo produce una pluralità di punti di vista su diversi aspetti, come il valore della località e l’attenzione alle connessioni globali, la preferenza per i processi artigianali e l’interesse per quelli industriali, l’approccio a processi produttivi meno tecnologizzati e quello più attento ai percorsi di bioingegnerizzazione, la scelta di stili di consumo più sostenibili e l’adesione a stili di consumo più convenzionali, l’attenzione al prezzo giusto per i produttori e l’impegno a rendere più accessibile il cibo di qualità anche per i ceti impoveriti.

A Roma si va espandendo il terziario agricolo, cioè quelle agricolture di servizi checomprendono le attività delle fattorie sociali; i percorsi didattico-educativi; gli itinerari turistici, culturali e ambientali nelle aree protette; il benessere “fai da te” (hobby farmer’s); le reti di orti urbani come esercizio del diritto al “pezzo di terra” con cui attenuare il disagio della vita in città; le reti di centri ippici e cinofili e di asinerie come riproposizione del rapporto uomo-animale; i progetti di orti sui tetti in serre fotovoltaiche per bonificare la crosta urbana; la lavorazione del legno di città come proposta di nuovi significati simbolici che manufatti e arredi e le loro filiere potrebbero incorporare. Si tratta di quelle Agricolture civili che producono beni relazionali e alimentano la fraternità civile.

Anche le pratiche innovative che riguardano le Agricolture civili generano una pluralità di approcci, come quelli riferiti a modelli di gestione più aperti alle comunità locali e altri che preferiscono percorsi più autosufficienti, quelli che si rifanno a strutture a prevalente indirizzo produttivo e altri più orientati ai servizi, quelli che partono dal lato dell’offerta di ruralità e altri che guardano al mercato dal lato della domanda, quelli che scelgono la formula del “no profit” e altri che prediligono il “for profit” o il “non solo profit”, quelli che assumono strategie di diversificazione comprendenti la produzione di energie rinnovabili e altri che non prevedono tale opzione, quelli che partono da un’idea di competizione di tipo posizionale e altri che si autoimpongono strategie competitive di tipo cooperativo.

Il confronto continuo tra i diversi approcci e punti di vista sulle agricolture civili e sul cibo è estremamente utile perché estende la percezione dei cittadini alle problematiche connesse a tali temi, accresce la capacità di concepire ulteriori stili di condotta dalla produzione al consumo e permette di assumere atteggiamenti tolleranti e rispettosi per le diverse scelte.

Con il confronto permanente, le pratiche innovative non acquistano connotati antagonistici e conflittuali, che determinano solo marginalità e minorità, ma potranno alimentare contesti collaborativi e pluralistici (fraterni) in grado di far lievitare le economie civili.

Per essere efficaci, le politiche pubbliche non dovrebbero privilegiare particolari punti di vista o determinati approcci, ma essere equidistanti rispetto alle diverse opzioni. Mentre dovrebbero favorire la conoscenza e l’informazione e garantire così pari opportunità per i cittadini e i gruppi nell’acquisire consapevolezza e perseguire coscientemente le proprie inclinazioni e preferenze.

Infine, le istituzioni dovrebbero sempre più adottare percorsi trasparenti nella definizione delle politiche e mettersi in ascolto di istanze che difficilmente trovano espressione nei “tavoli” ordinari di consultazione delle forze sociali. Nella Programmazione dei fondi europei 2007-2013 le agricolture urbane e periurbane non hanno avuto la dovuta attenzione perché le politiche hanno continuato ad essere separate e a non dialogare. Ma questa volta la scelta delle istituzioni europee di raggiungere l’obiettivo della crescita intelligente, sostenibile e inclusiva mediante una reale integrazione dei diversi fondi e strumenti e procedure non più separati, dovrebbe facilitare il riconoscimento delle agricolture civili e dei piani del cibo nelle politiche di coesione. È un’occasione da non mancare.

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