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Politica, casta e corruzione. Andare alla radice del problema per porvi rimedio davvero
Breviario del giovane politico è un breve trattato che chi ama o ha amato la politica dovrebbe leggere. A me è piaciuto per una serie di motivi.
Il primo è che l’Autore, Samuele Roberto Piccoli, è riuscito in poche pagine a sintetizzare l’essenza della politica: nobile fine del buon governo e cinico uso di una pluralità di mezzi per raggiungerlo. Mezzi descritti con estrema chiarezza e dovizia di particolari, attingendo l’ispirazione ai testi dei maggiori pensatori politici della modernità (Machiavelli, Guicciardini, Mazzarino) e ad una breve esperienza dell’Autore medesimo nei “palazzi” del potere.
Il secondo motivo riguarda lo stile letterario utilizzato. Uno stile aulico e comprensibilissimo, unico in grado di sublimare e rendere godibile la fredda e rude descrizione di comportamenti che, in realtà, suscitano orrore in chi ritiene che le virtù politiche vadano commisurate non solo all’esito delle azioni che si compiono, ma anche alla qualità delle persone che le esplicano.
Il terzo motivo è che la pubblicazione del testo nell’attuale fase politica fa emergere l’ipocrisia di chi (e sono tanti!) attacca i vizi più vistosi della cosiddetta “casta”, ma nasconde bene o non vuol vedere il livello altissimo di cinismo che caratterizza, in modo generalizzato, i comportamenti delle persone impegnate in politica.
Il quarto motivo è che condivido con l’Autore – avendo anch’io frequentato per brevi periodi i luoghi della politica – la repulsione per le regole informali, ma ferree, in vigore nell’agone politico, descritte come in una sorta di autoterapia individuale per oggettivare la causa del malessere che queste producono, e potersene definitivamente liberare.
Alcuni studiosi hanno tentato di tessere l’elogio del cinismo politico, distinguendo il “cinismo dei fini” del totalitarismo dal “cinismo dei mezzi” del liberalismo democratico: nel primo caso ogni mezzo è giustificato dall’obiettivo di giustizia che si vuole realizzare; nel secondo, al contrario, i mezzi sono in qualche modo anche un fine a sé, almeno nel senso che fine sono anche “i diritti fondamentali dell’individuo” che l’azione deve sempre e comunque preservare. Per costoro, sarebbe la necessità di creare consenso l’elemento che accomunerebbe le democrazie totalitarie e quelle liberali. Ma sarebbe il “cinismo dei mezzi” a rendere il liberalismo lo strumento migliore per esercitare il cinismo politico.
Secondo questa visione, il politico sarebbe costretto a manipolare scientemente la realtà al fine di mantenere l’integrità della sua idea di giustizia per ricercare il consenso. Esagera i lati positivi o negativi di una certa riforma, o di una legge, o di un fenomeno sociale per convincere l’elettore. Oppure mente deliberatamente per poter conseguire un fine che gli elettori non potranno fare altro che apprezzare. Insomma, la menzogna del politico sarebbe giustificata quando questa gli permette di trascendere la realtà data e di prefigurare con la mente i suoi possibili sviluppi futuri, le sue nuove conformazioni.
Ma pur volendo seguire tale impervio percorso e delimitare gli spregiudicati e abietti mezzi, adoperati dal politico per conquistare e gestire il potere, al mero esercizio della menzogna programmata, mi chiedo se tale comportamento non metta comunque in discussione la fiducia nell’interlocutore e, dunque, la possibilità di ricercare un consenso effettivo e consapevole. Il dibattito pubblico su valori e scelte nelle democrazie liberali non dovrebbe avvenire su basi di sincerità e verità?
Già i greci e poi i cristiani distinguevano una parresìa (parlare franco, dire tutto) positiva e una negativa per non confondere la sincerità con il parlare a vanvera, il dire qualsiasi cosa si pensi senza avere adeguata cognizione di quel che si dice. E alcuni hanno suggerito di esercitare una parresìa più vicina al silenzio, alla meditazione, al dubbio, alla problematicità, all’ascolto dell’altro per evitare sia l’immoralità della menzogna che la stupidità del chiasso e ottenere così un dialogo pubblico più vero.
Ma Michel Foucault va ancora più a fondo e afferma che la parresia è il “coraggio della verità”. Secondo questo pensatore, la parresìa, a differenza della retorica, non è una tecnica, non è una strategia discorsiva, non è un mestiere. La parresia è qualcosa di più difficile da definire, una sorta di «nozione-ragno» (notion-araignée) che implica un atteggiamento, un modo di essere simile alla virtù, un ethos.
Può la verità assumere un ruolo in ambito politico e nei rapporti di potere? Per Foucault è possibile, ma bisogna stabilire, nell’ambito della democrazia, un certo numero di condizioni etiche che fanno appello alla dimensione morale individuale. Per questo egli torna alle radici della filosofia greca, rivalutando l’idea di democrazia contrapposta a ogni forma di tirannia.
Intervenendo in un convegno nel 1984, Norberto Bobbio rilevò che “il contrasto tra etica e politica nell’età moderna è, in realtà, sin dal principio, il contrasto tra la morale cristiana e la prassi di coloro che svolgono l’attività politica”.
Oggi le credenze delle persone e dei gruppi umani vanno oltre la dimensione religiosa. E le società contemporanee diventano sempre più multiculturali. Nella nuova condizione, la sfera etica non può dunque essere ricacciata solo nel privato, ma deve potersi manifestare anche nell’ambito pubblico.
Si tratta allora di far maturare nella società un’etica condivisa, che riguardi anche la politica e le sue modalità e metta in discussione i pilastri del pensiero politico moderno. Ma di questo non si discute nel dibattito pubblico. Ci si limita a indignarsi solo per i fenomeni più vistosi di corruzione, senza voler vedere l’arida e desolante realtà dei comportamenti quotidiani adottati nella lotta politica, che costituisce l’acqua di coltura dei fenomeni illegali.
Breviario del giovane politico ha il pregio di sollevare il velo d’ipocrisia che copre l’agire politico. E la realtà nuda e cruda che descrive, potrebbe suscitare – me lo auguro di cuore – l’avvio di un dibattito sulle questioni di fondo che andrebbero affrontate, per non rimanere condannati a vita alla superficialità e al pressappochismo.
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