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Agricoltura e Metropoli

Relazione introduttiva alla Conferenza cittadina della Federazione romana dei Democratici di Sinistra sul tema “Agricoltura e Metropoli: Roma Capitale Euromediterranea", svoltasi il 4 novembre 2005 presso l’Auditorium di Via Rieti

agricoltura roma

Compagne e compagni, gentili ospiti,

la straordinaria partecipazione alle primarie del 16 ottobre impone una discontinuità nei comportamenti dei partiti del centrosinistra.

In primo luogo, dobbiamo tutti prendere atto che l’eccezionale adesione ad uno strumento partecipativo così intimamente connesso al sistema maggioritario mostra in maniera inequivocabile una propensione dei nostri elettori a favore del bipolarismo.

In secondo luogo, dobbiamo abbandonare pratiche del passato e predisporre per tempo criteri e regole che consentano ai cittadini di concorrere alla scelta dei candidati a incarichi istituzionali e politici.

In terzo luogo, dobbiamo rompere gli indugi e rimettere in moto il progetto dell’Ulivo. Un progetto politico e culturale che ha al centro una  scelta cruciale: costruire anche in Italia un Partito Democratico, cioè un soggetto politico riformista e progressista, che per ruolo, radicamento sociale e consenso elettorale assolva alla stessa funzione svolta da tempo in Europa da altri grandi partiti riformisti e progressisti. Un progetto  che richiede al leader, ai DS e alla Margherita di consolidare l’intesa per la Lista dell’Ulivo alla Camera dei Deputati, non solo aprendola ad altre forze politiche e a tutti coloro che sono interessati al progetto riformista, ma producendo, fin da adesso e prima ancora di fondare il Partito Democratico, una innovazione programmatica al servizio dell’intera coalizione.

Infatti, solo se l’insieme delle forze riformiste sarà in grado di promuovere un  simile impegno e presentarsi con una visione chiara e condivisa al confronto con le altre forze politiche della coalizione, l’Unione ne risulterà rafforzata intorno ad un programma di governo.

La conferenza di programma della Federazione romana dei DS ha, pertanto,  uno scopo ben preciso: vuole contribuire ad innescare quella innovazione programmatica che si potrà produrre solo con l’impegno congiunto dell’insieme delle forze riformiste cittadine.

Da qui il carattere dell’iniziativa come quella di oggi: un momento per lanciare  idee e proposte finalizzate ad un’elaborazione collettiva sui temi dell’agricoltura romana e laziale, che coinvolga l’insieme delle nostre forze nel partito e nelle istituzioni, susciti il contributo del mondo scientifico, si avvalga delle competenze e promuova il confronto con le organizzazioni economiche e sociali. Un’elaborazione collettiva in vista delle scadenze elettorali politiche e amministrative e che mettiamo a disposizione delle forze riformiste romane per predisporci insieme al confronto con le altre forze politiche dell’Unione. Un’elaborazione collettiva che si inserisce nel quadro della riflessione nazionale, avviata la settimana scorsa a Frascati, con il seminario sui temi agricoli organizzato unitariamente dalla coalizione. Un’elaborazione collettiva che parte dal lavoro positivo svolto dalle giunte di centrosinistra al Comune e alla Provincia e che ora trova impulso dall’efficace azione di governo avviata alla Regione da Daniela Valentini lungo le linee guida di rilancio del settore offerte al confronto del Tavolo Verde.

* * *

Il binomio “metropoli e agricoltura” ne evoca un altro più antico, quello di “città e campagna”, che era concepito, fino a qualche tempo fa, secondo una visione dello sviluppo in cui necessariamente il primo termine sarebbe dovuto prevalere, assoggettando e annullando l’altro.

Oggi finalmente si fa strada l’idea che la città e la campagna possano diventare complementari e interdipendenti. Ma non è affatto assodato – e qui  risiede lo stimolo al nostro cimento – che in tempi di globalizzazione le funzioni di una metropoli, diventate nel frattempo più complesse, e quelle dell’agricoltura, ancor più molteplici che nel passato, possano integrarsi in modo virtuoso e trasformarsi in reciproche opportunità.

Eppure siamo convinti che progettare e guidare l’interscambio di tali funzioni,  per suscitare sviluppo diffuso e benessere per l’insieme della collettività, sia una sfida che si possa raccogliere.

A Roma le condizioni ci sono tutte.

Nonostante le nuove tensioni, le preoccupazioni e le criticità globali, il futuro che è dinanzi a noi sarà certamente più multipolare. Dobbiamo far sì che le decisioni che si assumono siano  multilaterali e le più ampiamente concordate, con un’Europa più forte e orientata non solo ad est ma anche verso il Mediterraneo.

In tale quadro, il sud dell’Europa può diventare la porta dell’Asia, il grande snodo per il commercio tra Europa e Oriente. Una prospettiva questa che aprirebbe, per una città  metropolitana come Roma e sistemi territoriali come quelli presenti nel resto del Lazio, inedite opportunità di competizione e collaborazione nell’intera area euromediterranea.

La sfida presuppone una politica estera italiana fortemente ancorata alle istituzioni europee per avviare un’integrazione, in quella che tra cinque anni diventerà una grande area di libero scambio, da basare su maggiori investimenti, crescita e scambi commerciali. L’esatto contrario di quanto avvenuto negli ultimi anni con l’atteggiamento euroscettico del centrodestra.

Il governo Berlusconi ha fatto sì che l’Italia passasse dal ruolo di campione dell’integrazione europea a quello di comparsa nello scenario del vecchio continente. Il danno è stato enorme perché si sono ridotte per la nostra regione le  opportunità di vincere la sfida della globalizzazione.

Per recuperare il ritardo,  ci dovrà essere ora un impegno corale, non solo delle istituzioni nazionali, ma anche della Regione, delle Province laziali e di Roma. Si tratta di dare corpo all’idea di Piero Marrazzo di fare della nostra regione la Casa del Mediterraneo.

Grazie alle scelte compiute dalle giunte Rutelli e Veltroni, Roma ha preservato una vasta superficie del suo territorio alle attività agricole.

Per  aree di questo tipo mancano però indicazioni strategiche nelle politiche europee di sviluppo. Si tratta, dunque, di porre immediatamente all’attenzione delle istituzioni comunitarie il tema delle agricolture metropolitane, che non presentano soltanto i caratteri descritti freddamente dalle statistiche: progressiva riduzione della superficie utilizzata e accelerato invecchiamento degli addetti. Queste sono, infatti, le  conseguenze inevitabili di una considerazione di tali aree come zone di riserva in attesa di usi più convenienti o come non-luoghi, dove disseminare discariche e siti inquinanti.

In queste aree si potrebbero, invece,  rivitalizzare i valori culturali e sociali che sostanziano la ruralità. Senza preconizzare indesiderati ritorni all’antico ma individuando forme moderne e appaganti, è possibile riattivare negli spazi agricoli quei beni relazionali che affondano le radici in stili di vita più semplici, più diretti, nei quali è possibile riporre valori come fiducia, attenzione nei confronti dell’altro, reciprocità, apertura, ospitalità. Qui si potrebbero  progettare più agevolmente  modelli inediti di welfare locale legati alle attività produttive agricole e rurali.

Pensiamo a modelli imprenditoriali in grado di accrescere la ricchezza e l’occupazione nelle aree agricole e, al tempo stesso, migliorare la qualità della vita delle persone che abitano le città, a  partire da quelle che vivono nel disagio.

Pensiamo a modelli di gestione delle risorse agricole che siano  sostenibili sul piano economico e, nel contempo,  in grado di promuovere valori ambientali essenziali per il mantenimento dei cicli ecologici, la tutela del paesaggio e del patrimonio storico, architettonico e archeologico.

Pensiamo a rapporti di integrazione tra la campagna e la metropoli in cui l’agricoltura, con la riproduzione dei suoi valori autentici, entri nelle reti di valorizzazione turistiche e culturali e partecipi a progetti di produzione bioenergetica, al fine di rafforzare l’identità locale,  garantire prospettive equilibrate di abitabilità del territorio e condizioni di salubrità a beneficio della intera comunità urbana.

Reputare strategico lo sviluppo delle agricolture mediterranee che si arricchiscono di nuove attività a vantaggio dei cittadini può costituire un obiettivo politico concreto quando si affronteranno nuove riforme della PAC. Ancorando sempre più la destinazione delle risorse comunitarie a finalità che riguardano l’insieme dei territori, si potrà  allargare il consenso intorno a politiche irrinunciabili per mantenere un’agricoltura competitiva.

La recente riforma consente comunque agli Stati membri di indicare già oggi tale opzione nella prossima programmazione dello sviluppo rurale. Non a caso il MIPAF ha recentemente proposto alle Regioni  di esplicitare una articolazione del rurale che tenga conto dei più generali processi di sviluppo che caratterizzano il nostro Paese. E nell’individuare quattro tipologie di aree, ha suggerito che la prima sia costituita proprio dalle “aree rurali limitrofe ai centri urbani e alle grandi aree metropolitane”.

La Regione Lazio potrà così cogliere, per la prima volta in un documento di programmazione, le specificità della propria agricoltura metropolitana. E sarebbe auspicabile che, nel fare questa scelta, promuovesse, d’intesa con la Provincia e il Comune di Roma, una sede di coordinamento delle agricolture metropolitane al fine di suggerire indicazioni utili alla Commissione europea per adattare la normativa comunitaria alle esigenze concrete.

L’area metropolitana di Roma va intesa come un continuum socio-economico che si estende per un’ampiezza superiore a quella della stessa Provincia. Si tratta di un’area che contiene una pluralità di poli di sviluppo territoriale e che presenta forti integrazioni delle reti di informazioni e servizi, rilevanti infrastrutture in appoggio alle attività economiche, significativi centri di ricerca e sperimentazione. Un’area caratterizzata dalla presenza di aziende agricole vivide e specializzate nella produzione d’eccellenza, di un’imprenditoria femminile rivolta in modo determinante alle attività innovative, di strutture diffuse di trasformazione dei prodotti agricoli, di una silvicoltura produttiva e di un’attività ittica, sia lungo il litorale che nelle acque interne,  dedita alle produzioni da pesca  e da acquacoltura.

Stiamo parlando di un’economia agroalimentare e rurale che rappresenta un terzo della ricchezza prodotta dal complesso del settore nel Lazio e che si pone al primo posto tra le province della regione. Un’enorme opportunità per la crescita e la sostenibilità ambientale e sociale dell’intero territorio regionale.

Ma una cosa deve essere chiara! Solo un’agricoltura intesa come insieme di imprese che svolgono attività produttive e al tempo stesso erogano servizi di valenza ambientale, culturale, sociale e turistica, che sia in grado di fare sistema con l’insieme dei ruoli urbani, economici e istituzionali dell’area metropolitana e di essere snodo tra tali funzioni e le agricolture delle altre province,  potrà contribuire allo sviluppo sostenibile e alla competitività del territorio laziale.

Sta qui il salto di qualità che deve compiere una classe dirigente consapevole delle risorse e delle potenzialità del proprio territorio e capace di liberarsi di  una visione dell’agricoltura come sacca di arretratezza e di assistenzialismo.

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Oggi l’agroalimentare sta vivendo una situazione pesante. Soffre le conseguenze di una flessione strutturale della redditività, non solo della produzione primaria, ma anche del segmento industriale e, nel 2004, per la prima volta, anche della grande distribuzione. E’ investito da gravi emergenze sanitarie e ambientali. Subisce le ricadute perverse del calo dei consumi, dell’aumento dei prezzi per le famiglie e della compressione dei prezzi per i produttori, dall’ortofrutta al latte.

Il centrodestra ha tentato di risolvere la crisi con misure ordinarie di intervento che si sono palesate del tutto insufficienti. Non ha neanche provato ad indicare un programma straordinario di interventi e ad offrire una strategia di medio lungo periodo in grado di orientare le scelte degli operatori e di adattare strumenti e azioni al nuovo scenario.

Siamo di fronte ad un vero e proprio fallimento, che non è dipeso dalle divisioni interne al governo, come ha tentato ripetutamente di farci credere in questi quattro anni e mezzo il ministro Alemanno, ma dall’assenza di una benché minima visione strategica con cui confrontarsi.

Il disagio è talmente profondo che Cia, Confagricoltura, Copagri, Legacoop/Agroalimentare e Agci hanno indetto una manifestazione per il prossimo 8 novembre a Bologna.

I Democratici di Sinistra condividono le ragioni della protesta, auspicano il pieno successo dell’iniziativa di lotta degli agricoltori e assicurano il proprio sostegno alle richieste formulate unitariamente dalle organizzazioni agricole. E’ necessario delineare un disegno strategico nazionale in grado di rendere partecipe l’agroalimentare alle sfide poste ai paesi europei dall’Agenda di Lisbona per una società più competitiva.

In tale quadro, l’innovazione deve essere considerata una priorità assoluta. E l’area metropolitana di Roma ha tutti gli ingredienti perché si possa progettare per il sistema agroalimentare del Lazio uno sviluppo fondato sull’innovazione.

Qui risiede, infatti, la gran parte degli istituti di sperimentazione agraria e vi sono collocati i centri di ricerca e i laboratori scientifici nell’agroalimentare che costituiscono l’eccellenza del Paese. Alla Casaccia opera la più strutturata unità tecnico-scientifica pubblica italiana impegnata sul fronte delle biotecnologie, della protezione della salute e degli ecosistemi, a cui fanno riferimento oltre 250 ricercatori. Qui opera presso il CNR il Dipartimento per la ricerca nell’agroalimentare che coordina una rete di 570 ricercatori. Nelle tre università pubbliche e in quelle private si svolgono attività pregiate di ricerca e di alta formazione nel settore.

Tutto questo mondo è pienamente coinvolto nella difficile transizione dell’agricoltura da un modello fondato sull’incremento della produttività quantitativa dei fattori utilizzati ad un modello multifunzionale fondato su di una moderna ruralità territoriale, fatta di nuovi mestieri e professioni, di nuove connessioni coi temi della salute, dell’ambiente, della qualità della vita.

Il tema delle biotecnologie è paradigmatico della nuova centralità dell’agricoltura nei rapporti tra valori etici e politica, tra scoperta scientifica e diffusione della conoscenza, tra produzione di innovazioni e competitività di sistema.

Oggi prevale l’opinione che gli Ogm siano incompatibili con il modello agricolo europeo fondato sul pluralismo territoriale. La questione non è chiusa, come sappiamo tutti. Ed è compito della politica elevare il discorso pubblico su temi cruciali che riguardano il nostro futuro: la crescita demografica (saremo 8 miliardi nel 2020!), la riduzione dell’acqua disponibile, l’impatto ambientale dell’agricoltura intensiva provocato dall’uso della chimica, ma anche le conseguenze disastrose che si determinerebbero nell’ecosistema se si dovessero moltiplicare le terre arabili per adottare in modo prevalente  pratiche agricole estensive.

Se affrontiamo razionalmente e in modo intrecciato questi temi, ci accorgiamo che proprio la sostenibilità ecologica ci induce a dover adattare le piante all’ambiente e non viceversa. Ma lo potremo fare riaprendo le vie dell’innovazione. Si tratta di assicurare risorse a quei programmi pubblici di ricerca biotecnologica  che sostengono e rafforzano il nostro modello agricolo. E ci consentono di produrre conoscenza in un campo della innovazione che è diventato strategico.

Le forze politiche riformiste devono affrontare seriamente il nodo del rapporto tra scienza e vita. E forse contribuiremo a superare il disinteresse nei confronti della ricerca, ad invertire la tendenza al calo di iscrizioni alle facoltà scientifiche e agli stessi istituti agrari.

Soluzioni importanti si attendono dalla ricerca nei settori dell’ingegneria agraria, indirizzata, ad esempio, a valorizzare le tecniche aziendali di irrigazione a basso consumo idrico e a promuovere  metodi dell’agricoltura di precisione.

Gli obiettivi della qualità, della sicurezza e della rintracciabilità degli alimenti  devono vedere un impegno crescente dei ricercatori. Così come la verifica delle possibilità e dei limiti del riciclo di biomasse e della stessa produzione agricola per ottenere biocombustibili  potrà fornire risposte operative alle regole disposte dal protocollo di Kioto.

Sono soltanto alcune indicazioni per accrescere quei saperi codificati e contestuali e produrre innovazione.

Oggi la competizione si è spostata dai prodotti ai sistemi; e dunque assume rilievo anche l’innovazione organizzativa. In questo nuovo scenario, la capacità  di portare il prodotto agricolo presso nuovi consumatori è solo un aspetto dell’”approccio-mondo”; un angolo di visuale che deve sapersi integrare con la capacità di “replicare” sistemi.

Per integrare i due aspetti, occorre interrogarsi su quale modello di catena di creazione del valore del prodotto agricolo si debba puntare. Appare sempre più auspicabile un modello di reti di imprese (l’impresa agricola, l’impresa industriale, la marca) indipendenti e interdipendenti, un modello che si afferma in quanto crea e distribuisce valore alle reti. E’ per questo che non c’è contrapposizione, ad esempio,  tra il proposito degli allevatori romani di gestire la Centrale del Latte e l’esigenza di rafforzare modelli a rete che potenziano sistemi nazionali.

In tale quadro, la cooperazione si conferma come un modello che rende protagonista l’impresa agricola e restituisce valore al prodotto agricolo. Per tale ragione  e non per chissà quale residuo motivo ideologico, essa non va discriminata nel suo percorso di riposizionamento nel “mercato-mondo”.

Nella grande distribuzione, Carrefour già opera col nuovo approccio-mondo: attraverso la “replicazione” dell’impresa commerciale (e del modello) esporta alimenti dell’industria alimentare e anche prodotti agroalimentari del suo paese d’origine.

Coop Italia, invece, ancora non “fa sistema” con la cooperazione agroalimentare e con l’agroindustria privata. E ciò costituisce un limite che va rapidamente affrontato.

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Le diverse funzioni di Roma potrebbero diventare altrettante opportunità per incentivare i differenti soggetti economici a “fare sistema”. Ecco un altro capitolo dove produrre innovazione programmatica.

Una città di così ampie dimensioni andrebbe individuata senza tentennamenti  come un grande mercato di sbocco per le produzioni locali. Occorrerebbe mettere in sinergia attori diversi: i servizi alberghieri e della ristorazione, da aprire al rapporto con l’agroalimentare regionale; i 140 mercati rionali, da riorganizzare in base a criteri di concorrenzialità; la valorizzazione delle cosiddette “filiere corte”, incentivando le produzioni biologiche, la vendita diretta, i gruppi di acquisto solidale; il potenziamento della rete logistica, da considerare in una dimensione nazionale e internazionale.

L’integrazione dei porti del litorale romano  nel quadro dei trasporti internazionali diventa un’opportunità per rafforzare l’orientamento al mercato dei sistemi territoriali.

Inoltre, per facilitare le esportazioni sarebbe necessario poter contare su un sistema creditizio capace di seguire gli operatori sui mercati esteri.

Ma per orientare le produzioni regionali sia verso i mercati locali che verso quelli nazionali ed esteri sono necessarie efficienti strutture di commercializzazione. Eppure non vi sono né progetti di potenziamento di quelle esistenti, né programmi volti ad organizzarne di nuove. E tutti sappiamo che solo la concentrazione dell’offerta potrebbe consentire accordi con la grande distribuzione in grado di avere un effetto benefico sulla produzione agricola.

Anche nell’agroalimentare siamo passati dai sistemi lineari di produzione, detti anche “filiere”, ai sistemi a rete, che richiedono alla pubblica amministrazione una capacità di coinvolgimento dei diversi soggetti intorno ad una progettualità per aree territoriali concentriche, da quelle interregionali alle zone.

Altra importante opportunità è costituita dalla realizzazione del nuovo centro fieristico in costruzione a Ponte Galeria. Si potrebbe allestire a cadenza biennale un Salone Internazionale dell’Agricoltura, con il coinvolgimento delle organizzazioni di rappresentanza, della Fiera di Verona, di Cibus, della Fiera del Levante, del sistema camerale e delle Regioni del bacino del Mediterraneo.

La funzione di Roma Capitale Euromediterranea potrebbe essere ulteriormente valorizzata facendo della Città la sede dove  presidiare il sistema delle Regole internazionali. La lotta alla povertà e alla fame nel mondo vede Roma protagonista di primo piano.  Walter Veltroni ha legato si può dire la sua immagine pubblica a questa causa. Un importante sviluppo di questo impegno potrebbe essere una presenza nelle problematiche del WTO, occupando uno spazio di alta politica estera dove i sistemi agricoli metropolitani potrebbero impostare strategie di opportunità.

Caratterizzare Roma come una sede distaccata del WTO, potrebbe consentire al nostro Paese di svolgere un’azione più incisiva sul tema della qualità legata al territorio. Una funzione più diretta non solo di contrasto alle contraffazioni, ma soprattutto di integrazione delle diverse culture della qualità territoriale in una logica di espansione dei diritti.

In una siffatta cornice, il ruolo di grande vetrina dei prodotti tipici, che Roma può assolvere con grande efficacia, acquisterebbe un dimensione politica e culturale, che va oltre la mera promozione economica. Ma tale prospettiva  richiederebbe il superamento di iniziative dispersive, dispendiose e dalle ricadute improbabili e ci obbligherebbe a concentrare le attività promozionali e le risorse in un’unica agenzia regionale.

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Porre in relazione le complesse funzioni dei territori rurali della regione con le molteplici funzioni di Roma in una logica di cooperazione e di reciproca convenienza richiede un idoneo sistema di governance che sia, ad un tempo,  innovativo per cogliere le opportunità e flessibile per adeguarsi ai mutamenti.

Un punto essenziale da approfondire è come combinare decentramento, semplificazione amministrativa e sussidiarietà orizzontale per ottenere risultati tangibili in termini di efficienza e rapidità della spesa pubblica e dei servizi erogati. Regione, enti locali, autonomie funzionali, enti strumentali, sistema del credito, da una parte, e organizzazioni di rappresentanza, dall’altra, devono diventare una rete di interlocutori capace di assicurare una adeguata funzionalità gestionale, con l’assunzione di precise responsabilità. Si tratta, in sostanza, di promuovere una classe dirigente, nelle istituzioni e nella società civile, capace di fare rete, superando le logiche di concorrenza e di separatezza.

Occorrerebbe innanzitutto ricucire il cosiddetto “triangolo della conoscenza”, costituito da ricerca, formazione, servizi di sviluppo. Esso oggi appare del tutto incoerente a causa di una politica del centrodestra che ha favorito il disinvestimento e la smobilitazione.

Diviene quindi impegno imprescindibile il rafforzamento e la ricucitura di questi tre momenti, convogliando risorse umane e finanziarie e  mutando radicalmente il rapporto tra produzione di valore e produzione e gestione della conoscenza.

Il processo di innovazione nell’agroalimentare si caratterizza per le complesse interazioni tra più soggetti e la molteplicità delle funzioni: sicurezza, competitività, ambiente. Anche i portatori di interessi sono molti: i singoli cittadini come consumatori, le imprese, i lavoratori dipendenti, la società che guarda alla sostenibilità dello sviluppo.

L’ARSIAL, appositamente riformata, potrebbe diventare il soggetto pivot animatore del coordinamento. Si tratta di facilitare la partecipazione a progetti di ricerca europei e nazionali; di creare una domanda di ricerca locale, cofinanziando al sistema delle imprese le commesse indirizzate ai centri di ricerca; di assegnare un ruolo forte all’apprendimento, mediante accordi con gli assessorati alla formazione, per riorganizzare il sistema dei servizi di sviluppo e la formazione dei formatori; investire sulle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

L’Agenzia, infine, potrebbe organizzare un Forum annuale sull’innovazione, per dibattere gli obiettivi strategici, effettuare il monitoraggio delle iniziative e gli adattamenti necessari.

L’integrazione dell’agroalimentare con il sistema camerale è l’altro punto nevralgico su cui agire. Nella provincia di Roma i rapporti tra queste due sfere sono molto labili. Andrebbe rivista la normativa nazionale sui criteri di rappresentatività dei settori economici, per assicurare ai consigli delle camere di commercio che interessano le aree metropolitane una rappresentanza più ampia della componente agricola. In queste province l’importanza delle imprese agricole non è dato dal loro numero o dalla capacità contributiva ma dalle molteplici funzioni che esse svolgono a beneficio dei sistemi urbani. In tal modo si potrebbe garantire una gestione pluralistica delle aziende e delle società di interesse agricolo promosse dal sistema camerale, nell’ambito di strategie condivise che non possono non avere la dimensione regionale.

Altro nodo cruciale è il rapporto tra i diversi livelli istituzionali. Si tratta di passare dalla logica delle autonomie separate a quella della cooperazione in un quadro di regole condivise. Andrebbe, pertanto, creata una sede permanente di coordinamento degli assessori all’agricoltura di Regione, Province e Comune di Roma.

Rilevante è poi l’individuazione dei distretti rurali e agroalimentari di qualità. Non a caso la relativa proposta di legge di Daniela Valentini è stato il primo provvedimento legislativo agricolo approvato dalla Giunta regionale, ora al vaglio della Commissione consiliare competente.

I distretti andrebbero finalizzati non solo all’integrazione tra i settori produttivi ma anche  all’integrazione tra politiche economiche e politiche del territorio. Essi dovrebbero, inoltre, tener conto delle specifiche caratteristiche e dinamiche delle diverse aree  regionali e in particolare di quella metropolitana. Per essere efficaci, i percorsi distrettuali dovrebbero, infine, svilupparsi dal basso, attraverso il protagonismo dei soggetti economici e istituzionali locali e senza produrre artificiose bardature burocratiche.

La logica distrettuale degli interventi di sviluppo potrà decollare se la nuova programmazione dello sviluppo rurale abbandona il tradizionale modello a domanda, basato su bandi emanati per singola misura, e introduce al contrario un uso coordinato di più misure. La concentrazione degli interventi e delle risorse potrà essere ulteriormente rafforzata mediante il riconoscimento di funzioni pubbliche svolte dalle aziende agricole.

Si tratta di attivare i nuovi strumenti contrattuali che permettono di regolare i rapporti tra gli imprenditori agricoli e la pubblica amministrazione, dai Comuni alle Asl,  dalle comunità montane agli enti parco, dai consorzi di bonifica ai comitati di gestione delle risorse faunistico-venatorie.

Un’attenzione particolare meritano le politiche del territorio da attuare mediante l’introduzione di norme regionali che dettino ai Comuni i criteri da seguire per tutelare e valorizzare le aree agricole.

Di grande interesse è l’ipotesi di realizzare nel Comune di Roma, accanto al sistema delle aree protette di rilevanza regionale e nazionale, parchi agricoli comunali, in grado di rispondere ad una istanza che vede in primo piano la promozione dei sistemi locali e delle identità municipali.

In tal modo, potrebbero godere di programmi di insediamento di attività produttive agricole non solo le aree dei privati, ma anche quelle pubbliche, che sarebbero così destinate in modo esplicito alle attività agricole e vincolate a programmi di utilizzo agricolo. Così operando, i soggetti insediati, come ad esempio la cooperativa CO.BR.AG.OR, che conduce la plurisecolare azienda agricola di S. Maria della Pietà, oppure l’Istituto agrario “G. Garibaldi”, che svolge dal lontano 1882 l’attività didattica nella tenuta di S. Alessio, tra Vigna Murata e l’Ardeatina, non saranno costretti a vivere in una perenne e sfibrante incertezza.

Non sono, inoltre, pensabili un governo efficace del territorio e condizioni di  sicurezza idraulica di vaste aree agricole e urbanizzate senza ricondurre ad unitarietà di indirizzo e di programmazione le attività svolte dai consorzi di bonifica.

Oggi la stessa idea di bonifica non è più in grado di contenere la complessità delle azioni di manutenzione dei corsi d’acqua e degli scoli, di miglioramento qualitativo, riciclo ed uso plurimo delle risorse idriche, di difesa del suolo e di salvaguardia ambientale, che oggi le imprese agricole e, in generale, i possessori di immobili consorziati si attendono dalle proprie strutture di autogoverno. Ad esse è richiesto un impegno di più vaste dimensioni di tutela e valorizzazione delle risorse naturali che può essere espletato solo con mezzi finanziari pubblici messi a disposizione in misura adeguata. Vanno svolte perciò con cura ed efficacia sia le funzioni tradizionali i cui oneri continuano a gravare sui consorziati, sia quelle che devono necessariamente pesare sulla collettività. Ma occorre ricondurre tali organismi entro logiche di integrazione e collaborazione tra i diversi enti preposti alla gestione del territorio.

Negli ultimi tempi, strutture come il Consorzio Tevere – Agro Romano si sono ridotte ad essere quotidiano bersaglio di attacchi da parte dei consorziati, delle istituzioni locali e delle forze sociali per le loro pervicaci inefficienze. Al necessario commissariamento delle strutture di questo tipo, peraltro annunciato dalla Giunta regionale, va accompagnato l’avvio di un confronto sulla riforma della legislazione regionale in materia di consorzi di bonifica, per coniugare il principio dell’autogoverno con l’esigenza di un più stretto legame con la Regione e con gli altri enti che svolgono compiti contigui. Si tratta di rilanciare strutture di gestione del territorio che, operando in comprensori sempre più urbanizzati, vanno aperte alla partecipazione anche dei possessori di immobili urbani e ad un maggiore coinvolgimento degli enti locali. E’ in questo quadro che si potrà rivedere la norma vigente, che esclude gli immobili urbani dal pagamento del contributo consortile, e stabilire invece criteri più trasparenti ed efficaci per legare il tributo all’effettivo beneficio.

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Ma strategie di attivazione delle opportunità e una governance efficace sarebbero del tutto inutili senza un programma di rafforzamento di un’agricoltura competitiva e socialmente sostenibile.

Si tratta di perseguire con vigore l’obiettivo del ricambio generazionale nelle imprese agricole e l’inserimento dei giovani in nuove attività agricolo-rurali.

Idonee misure vanno individuate immediatamente per supportare le imprese condotte da donne, che si presentano fin da ora come le strutture agricole maggiormente predisposte ad una diversificazione delle attività aziendali.

L’iniziativa assunta da Tiziana Biolghini alla Provincia di Roma di dar vita al Forum per la promozione delle Fattorie Sociali è esemplare nell’ottica di un impegno attivo della pubblica amministrazione nel costruire la multifunzionalità dell’agricoltura.

Occorre agire sul versante dei servizi educativi, didattici, sociali, terapeutici, riabilitativi e su quello dei servizi ambientali in modo integrato. In questo contesto, incubatori d’impresa, servizi per l’impiego, formazione, miglioramento della qualità del lavoro diventano strategici anche nella prospettiva di una efficace gestione dei flussi immigratori.

Molti considerano un limite il fatto che gran parte dei lavoratori extracomunitari trovi occupazione in agricoltura. Ma se l’inserimento lavorativo e la creazione di nuove imprese in agricoltura  sono gestiti responsabilmente, l’inclusione nel mondo rurale di chi proviene da paesi ad economia prevalentemente agricola non è un ripiego, ma un’ occasione di vera integrazione ed anche un modo per attutire impatti culturali, straniamenti. Occorre, tuttavia, affrontare il tema del lavoro in agricoltura con la consapevolezza che prioritario è un intervento a monte, che consenta l’affermazione dei diritti elementari di cittadinanza degli immigrati. Senza assicurare questa posizione di partenza, le donne e gli uomini che lavorano in campagna difficilmente saranno in grado di partecipare al controllo delle loro condizioni di vita e di lavoro.

Accanto al tema dell’immigrazione assume rilievo anche quello delle figure miste dell’agricoltura, che rappresentano il naturale bacino di manodopera a cui far riferimento proprio nelle pluriattività lavorative e nell’evoluzione verso la multifunzionalità del settore.

La forma societaria specifica per l’agricoltura, introdotta recentemente nell’ordinamento, apre inedite prospettive per realizzare modelli imprenditoriali economicamente sostenibili.

Giovani e anziani potrebbero unirsi in una forma societaria qualsiasi per realizzare quelle attività che l’imprenditore anziano ha meno propensione a svolgere. In questo modo si favorirebbe la collaborazione tra giovani che partono da una condizione di svantaggio e anziani a cui si riapre la possibilità di valorizzare non solo i terreni che possiedono, ma anche il proprio “saper fare”. Oppure enti pubblici potrebbero  conferire terreni e manufatti in aziende agricole condotte da giovani, entrando direttamente nella compagine societaria e garantendo in questo modo le finalità dell’impresa a cui si dà vita.

Si tratta di studiare un modo nuovo per superare gestioni in perdita come quelle  che si registrano   nelle aziende pubbliche di Castel di Guido e della Tenuta del Cavaliere.

Con il meccanismo della compensazione edificatoria i Comuni acquisiranno in futuro nuove aree agricole, che si aggiungeranno a quelle  di proprietà dell’ARSIAL, delle IPAB o affidate in gestione alla società GEPRA.

Ebbene, la costituzione di imprese in forma societaria, convogliando capitali e competenze, locali e non solo,  potrebbe essere la formula per assicurare gestioni efficienti e resistere a pressioni che si faranno sempre più insistenti per ottenere cambi di destinazione.

In tale quadro, la riforma dell’ARSIAL, con  la conseguente predisposizione di un nuovo regolamento per la gestione dei beni dell’Agenzia, potrebbe essere l’occasione per individuare una funzione di impulso e di coordinamento nella promozione di iniziative imprenditoriali, che vedono l’utilizzo di terreni pubblici, volti a rafforzare la multifunzionalità dell’agricoltura.

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Si tratta di questioni non semplici, che ora presentiamo nella forma di prime e parziali indicazioni per un Programma agricolo del Comune di Roma in vista della Conferenza programmatica cittadina.

Esse vanno approfondite avviando una ricerca e un confronto da organizzare nelle prossime settimane nel partito della città, con le altre federazioni e con le diverse forze politiche.

Per produrre innovazione programmatica è necessario il massimo coinvolgimento dei soggetti sociali, economici e dei competenti. Anche questo imperativo ci consegna la straordinaria partecipazione alle primarie.

Il riformismo romano si potrà così arricchire di percorsi inesplorati per accrescere il benessere dei cittadini, in ordine allo stile di vita, alla cultura, alle relazioni sociali, e partecipare a pieno titolo all’elaborazione e alla realizzazione di un programma di governo su versanti da tempo non più praticati, ma che oggi si presentano gravidi di opportunità e di speranza.

 

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