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E ora si apre una fase nuova

Ci vuole un governo più forte e più attrezzato per affrontare le sfide che ci attendono. E una nuova strutturazione delle forze riformiste liberaldemocratiche e liberalsocialiste

conte

Giuseppe Conte si dimette da presidente del Consiglio. La causa principale di questa decisione è l’incapacità sua e della compagine governativa di dotarsi rapidamente di una visione, una strategia, un programma per gestire, con un cambio di passo, l’emergenza sanitaria e progettare la rinascita del Paese. Anziché assumere decisioni nette sulle riforme strutturali da accompagnare con le risorse del programma Next Generation UE, si è coltivata l’illusione di una ennesima e più cospicua distribuzione di soldi a pioggia, assistenziale, corporativa, clientelare, incapace di aggredire la stagnazione storica del paese.
Con la sua iniziativa, Matteo Renzi non ha fatto altro che rendere evidente questa deriva. Ha denunciato i limiti della bozza di piano nazionale di ripresa. E ha scoperchiato l’intento maldestro di un utilizzo delle risorse finanziarie europee inefficace a rimettere in moto la nostra economia e non compatibile coi presupposti e i criteri definiti dalle istituzioni europee.
Per il settore agricolo, ad esempio, i 910 milioni di euro previsti da Next Generation EU a favore dell’Italia andranno ad aggiungersi ai finanziamenti che il bilancio europeo già destina con la proroga della PAC 2014-2020 fino al 31 dicembre 2022. Ma siamo noi, come sistema-paese, che dobbiamo decidere come utilizzarli: nella solita logica assistenzialistica o in nuove direzioni adatte alle diversità territoriali e alla creazione di valore?
Il negoziato sulla nuova PAC 2023-2027 andrà avanti fino a giugno, ma è certo che anche il nuovo programma, e non solo quello derivante dal regolamento transitorio, dovrà uniformarsi alle linee europee della transizione ecologica. Dove e con quante risorse intervenire nelle zone interne per favorire l’agricoltura sociale, la bioeconomia circolare, le energie rinnovabili, la valorizzazione del paesaggio rurale, la salvaguardia e la valorizzazione di piccoli ruminanti nel mantenimento sul territorio di attività economicamente sostenibili, l’adozione di sistemi conservativi di gestione del suolo? Dove e con quante risorse intervenire nelle pianure irrigue per incentivare l’utilizzo di tecniche di agricoltura di precisione e digitale, con cui si riduce l’uso di agrofarmaci e fertilizzanti, e/o di metodi biologici? Tecniche e metodi innovativi che, oltre a far bene all’ambiente, creano nuove opportunità di inserimento socio-lavorativo per le persone svantaggiate.
Inoltre, è noto che le nuove biotecnologie, quelle con l’acronimo Nbt (new breeding techniques), hanno ricevuto un Nobel. Ma per i movimenti pseudoambientalisti e i media italiani restano comunque un’offesa alla tradizione agricola e agroalimentare nazionale. Sotto l’acronimo Ogm sono ormai raccolte dal luglio 2018 tutte le colture modificate in modo artificiale, incluse quelle che fino a un paio di anni fa erano considerate “naturali”, proprio perché sicure per l’uomo e per l’ambiente. Ma l’opinione pubblica continua ad essere depistata dalle solite argomentazioni pseudoscientifiche, tese a denigrare e demonizzare sia le attività di ricerca, sia l’uso delle biotecnologie. Con Next Generation EU si coglierà, finalmente anche in Italia, l’occasione per adottare una scelta chiara sulla liberalizzazione (necessaria e irrefutabilmente sicura) di ricerca scientifica e uso di Ogm e Nbt?
Vale anche per l’agricoltura, l’agroalimentare e le aree rurali la necessità di rovesciare il rapporto tra flussi di spesa e riforme: la programmazione che dobbiamo fare non è un insieme di spese che accompagnano qualche “riformicchia” di facciata, giusto per far vedere che siamo innovativi. Ma, al contrario, dovremmo riformare il rapporto tra ricerca e imprese, tra amministrazione e imprese, tra gestione delle risorse naturali e popolazioni, promuovendo e implementando approcci collettivi (non solo filiere ma anche reti di imprese e non imprese) e accompagnando tali percorsi con mezzi finanziari. Solo in questo modo potremo affrontare i problemi della sostenibilità demografica e occupazionale e quella ambientale.
Se non si assumeranno queste decisioni coraggiose, resteranno solo i discorsi retorici sul green, il Mezzogiorno, le infrastrutture, la cultura, il lavoro, l’impresa, i giovani e le donne. Ma non si estirperà la vecchia abitudine di utilizzare la spesa pubblica per sostenere la rendita invece che lo sviluppo, per favorire l’immensa rete di privilegi invece che promuovere nuovi interessi svecchiando il paese, per collocare il Sud nella scomoda e insostenibile posizione di area da proteggere, invece che da promuovere. Un Sud che diventi la seconda gamba della crescita insieme al Nord, con un effettivo investimento sulla risorsa costituita dai giovani e dalle donne.
Il confronto che si apre per superare la crisi politica deve condurre alla formazione di un governo più forte e più attrezzato per affrontare le sfide che ci attendono. E deve essere anche l’occasione per strutturare intorno a dei programmi e dal punto di vista organizzativo le forze riformiste liberaldemocratiche e liberalsocialiste. Renzi, Calenda, Bonino, Carfagna e pezzi del PD devono dar vita ad un soggetto politico nuovo che impugni la bandiera del riformismo e dell’innovazione.
I partiti nascono, muoiono e si ristrutturano nei grandi tornanti della storia e nel fuoco della dialettica politica e sociale tra visioni e opzioni programmatiche diverse. La pandemia è sicuramente uno di questi tornanti. Se sul programma nazionale di ripresa e la sua attuazione si costruirà un confronto serio, da allargare anche alle necessarie riforme istituzionali, le donne e gli uomini che si impegneranno per l’innovazione dovranno essere anche i soggetti costituenti di un nuovo partito progressista, alternativo sia a una destra sovranista e statalista che a una sinistra populista e veteromassimalista. Rimbocchiamoci le maniche.

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