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Una PAC sdoppiata in due sovranità

Ogni Stato membro potrà definire una propria strategia nazionale e gli agricoltori e i cittadini europei potranno giovarsi di una politica comune effettivamente giusta, semplificata ed efficace

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Il dibattito sul futuro della PAC (2021-2027) coincide con la campagna per l’elezione del Parlamento europeo del prossimo maggio 2019. E siccome la spesa agricola costituisce il 38 per cento del quadro finanziario europeo, inevitabilmente questo tema non potrà sfuggire al confronto elettorale.

L’Ue è divisa tra stati, oltre che tra e all’interno dei partiti, sulla sua identità (costituzionale ed economica). Il tema “Europa” si è politicizzato. L’integrazione non è più il processo silenzioso dei primi decenni del dopoguerra. Da quando il Parlamento europeo è eletto direttamente (1979), non era mai accaduto che la sua elezione fosse divenuta così importante, come ora, per il futuro dell’Europa.

Le due visioni dell’integrazione europea

Buona parte dei Paesi dell’Europa dell’est si oppone al modello sovranazionale perseguito dall’Ue. A quest’ultimo è stata opposta una visione sovranista dell’integrazione, secondo la quale essa non deve giungere a mettere in discussione le rispettive sovranità nazionali. Nonostante il sostegno di Lega e Forza Italia a Orbán, il voto del Parlamento europeo contro il governo ungherese per fermare la degenerazione illiberale di quel Paese ha riaffermato i valori proclamati dall’articolo 2 del Trattato sull’Ue. Non si è, tuttavia, scongiurata la deriva sovranista tesa a smantellare il modello sovranazionale dell’integrazione europea. A bloccare tale processo potrebbero, infatti, concorrere anche altri Paesi, partiti e forze interne ad essi.

L’Ue deve affrontare il problema della crescita squilibrata tra i diversi Paesi e dell’insostenibilità di un’integrazione dei mercati basata su economie asimmetriche e, nello stesso tempo, ha un bisogno ormai inderogabile di alcune politiche comuni, a partire dalla difesa, dalla sicurezza e da quella migratoria.

L’integrazione differenziata

Per soddisfare tali esigenze  e rispondere così al diffondersi di orientamenti antieuropei, Emmanuel Macron ha proposto una integrazione differenziata: una per gli Stati membri che aderiscono al Mercato unico e l’altra per gli Stati membri che partecipano all’Eurozona. Una volta accettato questo principio, per l’Unione “più piccola” si dovrà decidere di riorganizzare la sovranità dell’Unione e la sovranità dello Stato membro, sdoppiando le competenze tra questi due livelli.

In tale nuovo quadro giuridico, si potrà così introdurre un bilancio europeo autoalimentato con una politica fiscale europea e utilizzare tali risorse per finanziare la crescita economica e introdurre misure volte a ridurre le disuguaglianze.

Nello stesso tempo, si potranno, da una parte, definire le competenze che l’Ue deve esercitare in modo pieno e, dall’altra, devolvere alla competenza degli Stati membri politiche che impropriamente sono gestite dall’Ue. La PAC è sicuramente una politica che va profondamente ripensata sul piano di una diversa allocazione delle competenze tra Unione e Stati membri.

Perché la PAC

Nel suo discorso alla Sorbona del 26 settembre 2017, Macron dedicò proprio a questa politica un passaggio significativo: “La nostra politica agricola comune protegge davvero i nostri agricoltori e i nostri consumatori? La politica agricola non deve essere una politica di superamministrazione di tutti i territori dell’Unione; troppo spesso è una politica di reddito che accompagna approssimativamente le transazioni, e che produce degli schemi complessi che abbiamo difficoltà a spiegare ai nostri popoli. La politica agricola europea deve permettere di far vivere degnamente gli agricoltori e proteggerli dagli alea del mercato e dalle grandi crisi. Ci saranno sempre più modelli agricoli in Europa e mi piacerebbe che ogni Paese possa accompagnare questa trasformazione secondo le sue ambizioni e preferenze. In altri termini, vorrei che noi concepissimo una politica agricola comune che lasci più flessibilità ai Paesi per organizzare la vita dei loro territori e della loro filiere, e che elimini la burocrazia. Bisogna quindi stabilire una forza europea di inchiesta e di controllo per lottare contro le frodi, garantire la sicurezza alimentare, assicurare il rispetto degli standard di qualità”. Come si può notare, nel discorso di Macron emergono tre concetti: 1) lasciare più flessibilità agli stati membri; 2) eliminare la burocrazia; 3) stabilire una forza europea di inchiesta e controllo. Tre indicazioni che alludono ad una diversa governance della politica agricola.

Questa politica fu pensata circa sessant’anni fa come grande politica per il mercato unico dei prodotti agricoli, in chiave protezionistica, ed è diventata, a seguito dei primi accordi internazionali di libero scambio in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), una politica prevalentemente di aiuti diretti per gli agricoltori. È del tutto giustificato che la sicurezza alimentare, la stipula di accordi commerciali con altri Paesi, il coordinamento del sistema della conoscenza e il regime assicurativo in agricoltura per i rischi derivanti dalla volatilità dei mercati restino competenze dell’Ue. Si tratta, infatti, di materie che si collegano all’impianto originario di politica per il mercato unico dei prodotti agricoli. Ma è altrettanto motivato che la competenza in materia di aiuti diretti sia devoluta agli Stati nazionali membri, oltretutto dopo che i “triloghi” (riunioni informali tripartite) tra rappresentanti del Parlamento, del Consiglio e della Commissione, nell’esaminare l’ultima riforma della PAC (2014-2020), in contatto costante con le organizzazioni agricole dei Paesi membri, hanno di fatto avviato un vero e proprio processo di rinazionalizzazione di tale politica. Esiste a tale proposito una interessante relazione informativa del Comitato economico sociale europeo (CESE) su “La riforma della PAC: modalità, diversità, effetti redistributivi e altre scelte degli Stati membri nell’applicazione della riforma dei pagamenti diretti” (relatore Mario Campli) trasmessa nel 2015 alle istituzioni della UE.

Con la nuova proposta della Commissione per la PAC 2021-2027, la devoluzione della competenza in materia di aiuti diretti agli Stati nazionali membri è ancor più giustificata. Si passa, infatti, da un approccio basato sulla conformità dei beneficiari a regole dettagliate (compliance) ad un approccio orientato ai risultati di ciascuno Stato membro (result-driven based). A tal fine si afferma di voler rafforzare la sussidiarietà attraverso un ribilanciamento delle responsabilità nella gestione della PAC tra Ue e Stati membri.

Se si compie lo “sdoppiamento” delle competenze – prendendo in prestito da Sergio Fabbrini il titolo del suo libro sulla nuova governance europea – si otterranno tre risultati: 1) facendo in modo che le due sfere di sovranità siano ben definite sul piano delle responsabilità, senza alcuna interferenza reciproca, ogni Stato membro potrà finalmente definire una propria strategia agricola nazionale; 2) eliminando il passaggio Ue-Stati membri, la politica agricola si potrà effettivamente semplificare; 3) concentrando nell’Ue le competenze essenziali, gli agricoltori e i cittadini europei potranno godere di una politica agricola comune giusta ed efficace.

Una proposta già avanzata da tempo

Fin dal 1987, a proposito della PAC il rapporto Padoa-Schioppa rilevava quanto segue: “Si tratta di un’anomalia di sistema, giacché la Comunità … non è in grado di porre in essere politiche distributive a livello di singoli o di piccole imprese. Una perequazione efficiente dei redditi richiede un’amministrazione circostanziata a livello individuale e una coerenza rispetto alle caratteristiche del regime d’imposizione sul reddito e del regime previdenziale, tutte cose cui la Comunità non è in grado di provvedere. La Comunità si è in tal modo sostituita agli Stati membri, il che contrasta con i principi fondamentali di sussidiarietà e di vantaggio comparativo”.

Anche il rapporto Sapir del 2003 esprimeva analoghe considerazioni: “La struttura del bilancio […] comporta una riduzione molto sensibile degli importi destinati all’agricoltura. Si tratta di un cambiamento radicale rispetto alla situazione attuale, giustificato da quattro motivi. Anzitutto, l’attuale quota della PAC è talmente ingente da rendere impossibile, a meno di controlli più drastici, una riassegnazione significativa delle risorse nel quadro di un bilancio dell’Unione di entità pari a quella attuale. In secondo luogo, la PAC ha progressivamente cessato di essere una politica distributiva in grado di incentivare l’efficienza e la produzione, per favorire invece una determinata categoria di cittadini. […]. Una terza considerazione è che la grande varietà di redditi, di densità demografiche e di condizioni climatiche all’interno dell’Unione comporta un’estrema eterogeneità in fatto di preferenze, e tutto questo rende difficile attuare una politica agricola unica da Bruxelles. Altrettanto dicasi per la redistribuzione interpersonale. A maggior ragione, la redistribuzione interpersonale entro un singolo settore d’attività è un compito estremamente complesso a livello dell’Unione. Da ultimo, la PAC non sembra conforme agli obiettivi di Lisbona, nel senso che il suo contributo alla crescita e alla convergenza a livello dell’Unione resta al di sotto dell’obiettivo fissato per la massima parte delle altre politiche. Continuare a finanziare la PAC ai livelli attuali equivarrebbe a non tener conto del contributo ridotto che essa dà al conseguimento degli obiettivi di Lisbona rispetto ad altri contributi potenzialmente molto più rilevanti, che possono venire dalle altre politiche generatrici di crescita che abbiamo descritto in precedenza. Esistono quindi ottime ragioni per decentrare la funzione distributiva della politica agricola comune verso gli Stati membri, come già avviene per tutte le altre politiche distributive. Al tempo stesso, l’aiuto nazionale decentrato a favore degli agricoltori dovrebbe rispettare le norme dell’Unione in materia di aiuti di Stato, essere compatibile con il mercato comune e non falsare la concorrenza”.

Con lo sdoppiamento delle competenze finalmente si presenta l’occasione per realizzare quanto già da tempo autorevoli analisti hanno suggerito e che la preoccupazione di mantenere integre le risorse destinate alla spesa agricola ha finora impedito di attuare. Il fronte sovranista faticherà ad opporsi ad una simile scelta perché è una risposta efficace alla domanda di semplificazione e sburocratizzazione degli operatori agricoli. E per gli europeisti è un modo concreto per dimostrare che la costruzione della sovranità europea non significa smantellare la sovranità degli stati nazionali ma riorganizzarla su basi nuove e più efficaci.

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