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Autore : Alfonso Pascale
Pubblicato il : 15-08-2016
In due libri di sei anni fa, Corrado Barberis ci insegna che l'identità e la tradizione non hanno nulla a che vedere coi significati - oggi in auge - di chiusura agli altri, di difesa del proprio orticello. All'origine della nostra cultura o dei nostri valori di oggi non necessariamente si trovano radici che appartengono a noi, ai nostri territori. Spesso le radici sono l’altro che è in noi
Sei anni fa, a distanza di pochi mesi, l’editore Donzelli mandò in libreria due testi ancora oggi molto utili per farsi un’idea, dell’agricoltura contemporanea, più vicina alla realtà e depurata dai falsi miti che imperversano nei mass media: il primo ha per titolo Ruritalia. La rivincita delle campagne e raccoglie, con la curatela di Corrado Barberis, i contributi di una ventina di studiosi sulle trasformazioni sociali, economiche e culturali avvenute nel paese negli ultimi quarant’anni e presentati in un convegno dell’Insor; il secondo è un agile ed elegante volume con un titolo altrettanto significativo, Mangitalia. La storia d’Italia servita in tavola, che mette insieme gli articoli scritti dal decano della sociologia rurale per la rivista dell’Alitalia “Ulisse”.
C’è un filo rosso che lega le due opere. Nella prima si esaminano i consumi, i redditi, l’occupazione, le tipologie abitative e altri aspetti che riguardano le aree rurali, da una parte, e quelle urbane, dall’altra, per concludere che tra i due mondi, presi nel loro insieme, si sarebbe determinata ormai una sostanziale parità di condizioni. Nella seconda, Barberis ci guida in un lungo viaggio dal Piemonte alla Sicilia alla scoperta dei nostri tesori enogastronomici. E nel raccontarci la storia dei mille e più sapori che si incontrano nei diversi luoghi e nelle stagioni in cui il prodotto è migliore, vien fuori la storia a tutto tondo, politica, sociale, economica, artistica, letteraria del nostro paese. Si tratta di un vero e proprio reportage dai luoghi dove si è verificata la parificazione tra urbano e rurale, variamente trasformati a seconda dei legami che si sono consolidati tra forme dell’abitare e spazi delle attività produttive, tra qualità delle relazioni interpersonali e del rapporto uomo-natura e capacità dei territori di costituirsi in comunità. In realtà, non ci sono più due mondi separati come un tempo. Per descrivere la distribuzione della popolazione sul territorio si usano ormai termini ibridi: città diffuse, territori metropolitani, campagne urbane, montagne con comunità in via di estinzione, aree rurali industrializzate o deindustrializzate. La campagna è assediata dallo sviluppo urbano, mentre d’altra parte si tenta di recuperare l’agricoltura in città, attraverso gli orti urbani o i parchi agricoli. Quanto abbia pesato in tali processi l’emergere di un’agricoltura non più rivolta esclusivamente ad alimentare consumatori in cerca di calorie e proteine a buon mercato ma destinata ai piaceri della tavola è raccontato in forma erudita e brillante in questi libri.
Si passa da Grinzane Cavour, in provincia di Cuneo, dove opera l’Onaf, l’organizzazione nazionale degli assaggiatori di formaggio, a Torre Pellice, dove Gisella e Walter Eynard confezionano con grissini e pane raffermo un piatto valdese, la supa barbetta. A Cremona si incontra il principe dei salumieri, Ambrogio Saronni, che ha dato al cotechino la forma di una palla sganciandolo dalla forma oblunga degli altri salumi e aumentando all’apertura la superficie d’impatto del profumo. Mentre a Villastrada di Mantova troviamo Odoardo Zizzoli, che organizza nella sua osteria di famiglia le malaiate imbandendo per i suoi ospiti le parti più povere del suino, dal lardo alle frattaglie, dalle cartilagini e gomme dei piedi o delle orecchie ai nervetti. In quasi tutte le province italiane c’è un produttore o un oste di cui Barberis loda lo spirito d’intrapresa e la creatività, inserendo la sua vicenda nel contesto storico di un luogo e dispensando informazioni e curiosità attinte dalla documentazione raccolta in questi anni dall’Insor o direttamente dal taccuino di viaggio.
E così veniamo a sapere che nel 1980 si svolse in Umbria un congresso di soloni dell’ulivo per il consueto pianto (già da allora!) sulle disgrazie di un comparto produttivo che non riusciva a vendere il proprio prodotto, sfuso, nemmeno a sole tremila lire al chilo. Sicché si presentò alla riunione un professore iconoclasta (forse lo stesso autore del libro?) con una bottiglia d’olio elegantissima, dall’etichetta vistosa che la faceva assomigliare a un whisky o a un cognac di gran pregio. “L’ho appena comprata per ben 8 mila lire – egli riferì – in un negozio specializzato di Chianciano. Animo, dunque, perché questa bottiglia è un po’ come il ramoscello d’ulivo che la colomba porta agli scampati dal diluvio. Si tratta solo di far passare l’olio da prodotto vile, che nessuno vuole, a prodotto di lusso, ricercato da tutti”. Si prese allora una selva di improperi ma a distanza di molti anni i successi dell’olio umbro sono sotto gli occhi di tutti, indubbiamente favorito dalle nuove mode alimentari di oltre Atlantico. Oggi una buona parte dell’olio regionale è venduto in quelle eleganti bottiglie che avevano scandalizzato i congressisti intenti a piangersi addosso e che oggi sono firmate dai produttori come quadri d’autore.
Nell’ultimo capitolo troviamo infine il reportage dalla Sicilia, che indica i cinque strati archeologici della gastronomia dell’isola: quello di Polifemo, di Dionigi siracusano e di Verre governatore romano; quello degli arabi e dei paladini. Dal tentativo di stabilire per ogni ricetta, area per area, il relativo sostrato, si comprende come la storia della gastronomia abbia molto da imparare dal metodo degli atlanti con cui i linguisti attribuiscono un vocabolo a questo o a quel territorio. Ma si tocca con mano anche come i concetti di identità e di tradizione non hanno nulla a che vedere coi significati – oggi in auge – di chiusura agli altri, di difesa del proprio orticello. Barberis ci insegna, invece, che le identità e le tradizioni s’inventano, cioè si trovano, si costruiscono. E scopriamo che le radici della nostra cultura o dei nostri valori di oggi non necessariamente appartengono a noi, ai nostri territori. Spesso le radici sono l’altro che è in noi. Se la storia è la ricostruzione dello svolgersi di ogni singolo aspetto della vita sociale e culturale, questa diventa economia quando produttori intraprendenti sanno trasformare le vicende di un alimento e di un territorio e la narrazione del determinarsi di gusti e sapori in valore competitivo di un bene e, dunque, in benessere e sviluppo di un intero paese.
Tag: cibo, Corrado Barberis, ruralità
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