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Intervento introduttivo al Seminario organizzato dalla Rete Fattorie Sociali sul tema "I beni relazionali in una PAC rinnovata" che si è svolto a Roma, nel Salone dell'ALPA, il 18 giugno 2010
Il 3 marzo 2010 viene pubblicata la Strategia UE 2020 che propone una vaga “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”. Iniziative prioritarie: ricerca e innovazione; energia; istruzione, lotta alla povertà. In una prima versione l’agricoltura non veniva nemmeno citata. L’impressione è che l’agricoltura non appare nel dibattito europeo come una priorità. Almeno non lo è come prima. Dovrà essere approvata dal Consiglio Europeo nei prossimi giorni.
Sulla riforma della PAC post 2013 al momento ci sono la Relazione predisposta dall’europarlamentare George Lyon e approvata mercoledì scorso dalla Commissione Agricoltura del PE e le posizioni dei due principali Gruppi: Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici (molto coraggiosa e innovativa) e Partito Popolare Europeo (con un approccio conservatore).
Il 12 aprile 2010 il Commissario Ciolos ha lanciato la consultazione sul futuro della PAC. Per raccogliere i contributi al dibattito pubblico è stato predisposto un sito internet dove sono stati raccolti entro l’11 giugno scorso 5 mila contributi. Ora un organismo indipendente redigerà una sintesi dei contributi pervenuti e nei giorni 19-20 luglio la Commissione europea organizzerà a Bruxelles una Conferenza di sintesi della consultazione pubblica.
Nell’autunno 2010 sarà emanata la Comunicazione sulle Politiche future e sul Quadro finanziario a partire dal 2014. Nel dicembre 2010 la Comunicazione sulla PAC a partire dal 2014. Nel frattempo è aperta la Convenzione Agricola e Rurale – ARC (www.arc2020.eu). ARC è uno spazio europeo aperto a tutti coloro che desiderano condividere le proprie visioni e aspettative per il futuro dell’agricoltura e delle zone rurali in Europa e che intendono collaborare a definire le politiche dell’Unione Europea dopo il 2013. Il confronto è organizzato per gruppi tematici e nazionali (per raggiungere il Gruppo italiano basta entrare nel sito e registrarsi; potremmo dar vita al Gruppo “Agricoltura sociale”). ARC raccoglierà la diversità di opinioni sul futuro dell’agricoltura e delle zone rurali per riassumerle in un’iniziativa di riflessione comune con le istituzioni europee, che si svolgerà a Bruxelles in autunno.
Al centro delle decisioni ci sarà il Bilancio. La PAC ha il 43% delle risorse a fronte della Coesione 33% – Competitività 9,5% – Politica estera 8% – Cittadinanza 3% – Pesca e Ambiente 2% – Amministrazione 1,3%. Il sistema di aiuti diretti (Pagamento Unico Aziendale) assorbe il 74% di tutta la spesa per l’agricoltura e lo sviluppo rurale e – così com’è – appare difficilmente giustificabile:
– sembra un sostegno al reddito ma non è rapportato al reddito;
– pare legato a beni pubblici ma non c’è alcun rapporto coi costi per produrli;
– a parte la blanda condizionalità non è legato a comportamenti futuri;
– essendo legato alla serie storica impedisce il dinamismo e frena il ringiovanimento;
– è profondamente ingiusto perché l’80 % delle risorse va solo al 20 % delle aziende.
Anche se disaccoppiata dalla quantità di prodotto, è una spesa inefficiente e inefficace. Una buona politica dovrebbe essere invece finalizzata. Dovrebbe, in altre parole, essere mirata a determinare precisi comportamenti ed essere proporzionata, cioè commisurata ai costi necessari perché essi siano realizzati.
Il secondo pilastro sembra più accettabile ma presenta anch’esso molti punti critici:
a) Riguarda solo il 20% della spesa complessiva . L’Asse I Competitività e l’Asse II Tutela Ambientale hanno una caratterizzazione settoriale e raccolgono rispettivamente il 7% e il 9%; l’Asse III Diversificazione e qualità della vita e l’Asse IV Approccio Leader hanno una caratterizzazione prevalentemente territoriale e raccolgono solo il 4% della spesa;
b) non integra obiettivi settoriali e territoriali: i primi due assi dei PSR sono del tutto scollegati dagli altri due;
c) i criteri di selettività degli interventi e di concentrazione delle risorse restano per lo più disapplicati (sono privilegiate le misure più automatiche e tradizionali).
Ancora una volta la PAC è all’incrocio tra conservazione e cambiamento. In molti c’è la convinzione che la PAC debba supera il concetto di aiuto o sussidio o compensazione o premio e adottare solo quello di incentivo o pagamento, che implicano un rapporto contrattualizzato tra l’agricoltore e l’Autorità pubblica.
La PAC può avere un senso se pone al centro l’obiettivo di incentivare la produzione di beni comuni e relazionali. Uno sviluppo più equilibrato dei diversi territori si potrà ottenere se le politiche europee spingeranno verso la salvaguardia e la ricostruzione del capitale sociale delle campagne.
Il seminario vuole approfondire i concetti di bene pubblico, bene comune, bene relazionale, capitale sociale, anche alla luce di come questi beni si formano nelle esperienze concrete di agricoltura sociale e di agricoltura locale in genere, per dare elementi di valutazione, criteri, argomenti che potrebbero essere utili nella definizione di proposte concrete di riforma della PAC.
Al momento pare esserci una convergenza nell’orientare una parte della spesa agricola verso il pagamento contrattualizzato, remunerando con risorse pubbliche la produzione di beni e servizi pubblici.
Per beni pubblici finora si intendono i beni ambientali (biodiversità e paesaggio, le risorse idriche, il cambiamento climatico, ecc.). In mancanza di regolazione e/o di valorizzazione pubblica (come costo o ricavo), il valore di mercato del bene pubblico è di fatto nullo. Come possono rientrare nel concetto di bene pubblico anche i beni relazionali? Come si determina il loro valore? Come possono essere incentivati?
Anche sulla riforma dello Sviluppo Rurale si avanzano più ipotesi. Alcuni ipotizzano il suo sganciamento dalla PAC e il passaggio alla politica regionale. Altri propongono la separazione tra la componente settoriale e quella territoriale con il passaggio solo di quest’ultima alla politica regionale. Mentre quella settoriale dovrebbe anch’essa scindersi e diventare, da una parte, una politica per la competitività dei sistemi agricoli e alimentari e, dall’altra, pagamenti contrattualizzati agroambientali (con il trasferimento dell’Asse II dei PSR a quello che oggi è il I Pilastro). Queste ipotesi come si conciliano con la progettazione territoriale dal basso? con la costruzione di partenariati locali? con l’attivazione di processi partecipativi dei soggetti territoriali?
Per produrre beni relazionali e costruire il capitale sociale nelle campagne cosa conviene di più? Quale strumentazione è più indicata?
La pluralità di soggetti agricoli (dal part-time alle imprese familiari professionali), le aree montane, quelle svantaggiate, le aree protette o con vicoli paesaggistici in che modo potranno ricevere l’attenzione che meritano senza subire penalizzazioni e discriminazioni?
Nello sfondo ci sono le grandi crisi: economica, alimentare, energetica, climatica. I nuovi bisogni indotti dalla postmodernità richiedono cambi di paradigma nell’analisi economica e nell’approccio ai problemi dello sviluppo in generale e dello sviluppo agricolo e rurale in particolare.
Oggi sono del tutto evidenti le contraddizioni di tre dicotomie (teorizzate e praticate ma non giustificate): efficienza ed equità, arricchimento e lavoro umano, democrazia e mercato. Tra i diversi ethos del mercato – dice Luigino Bruni- oggi prevae solo quello dominante fondato sull’utilitarismo, ma esistono fortunatamente anche altri ethos (come dimostrano le esperienze di agricoltura sociale) fondati sulla reciprocità delle relazioni e sul mutuo aiuto, che oggi costituiscono una grande risorsa per affrontare la crisi.
La crisi attuale è innanzitutto una crisi di senso – come dice Stefano Zamagni -, cioè di incertezza nell’individuare consapevolmente una direzione prima ancora che la direzione di marcia. Da qui l’esigenza di un continuo confronto, di una ricerca libera, di aiutarci reciprocamente a capire la realtà per modificarla possibilmente in meglio.