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Prima l’etica, l’onestà, la coerenza, la condivisione, l’accoglienza, la difesa della giustizia e i diritti delle persone. E poi i riti, le messe, le preghiere, le devozioni. Prima la consapevolezza e la ferma volontà di cambiare profondamente i nostri comportamenti verso gli altri e poi la pratica religiosa
Quest’anno festeggiamo il Natale mentre si celebra il Giubileo della misericordia.
Cos’è la misericordia? È avere un cuore aperto per accogliere gli altri. È quello che il mondo ebraico intende con il termine rahamim: le viscere materne che accolgono la vita che nasce. È l’attaccamento istintivo di un essere ad un altro. È la capacità di allacciare nuovi rapporti o ricostruire relazioni che si erano interrotte.
C’è un passaggio del profeta Osea che suona: “Misericordia voglio e non sacrifici”. Lo riprende il vangelo di Matteo per ben due volte. Quando riferisce che Gesù mangiava con pubblicani e peccatori (“Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: ‘Misericordia voglio e non sacrifici’. Infatti, non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”). E lo ripete nello spiegare perché i discepoli, quando avevano fame, violavano le norme religiose sul riposo del sabato (“Se aveste compreso che cosa significa: ‘Misericordia voglio e non sacrifici’, non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato”).
C’è dunque una sorta di antitesi tra misericordia e sacrifici, tra etica e culto, tra giustizia e religione? C’è sicuramente una priorità. Viene prima l’etica, l’onestà, la coerenza, la condivisione, l’accoglienza, la difesa della giustizia e i diritti delle persone. E poi vengono i riti, le messe, le preghiere, le devozioni. Prima la consapevolezza e la ferma volontà di cambiare profondamente i nostri comportamenti verso gli altri e poi la pratica religiosa.
Dunque, prima viene la misericordia e poi vengono i rituali del Giubileo, sia religiosi che civili. Dovremmo ricordarcelo un po’ tutti, in questo Anno Santo.
Il Natale ci ricorda, infatti, che Gesù è venuto al mondo in una stalla, accolto da pastori e animali. Uno scandalo per chi fa dell’apparenza un feticcio ed è costantemente attento alle buone compagnie e all’osservanza dei formalismi. Ma Dio ha voluto rivelarsi a noi in Gesù proprio così: in modo eccentrico, irregolare, fuori dai cliché. Per dirci che prima viene l’amore e poi tutto il resto.
Buon Natale!