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L’eccidio di Avola

I movimenti del '68 furono molto articolati non solo nelle università e nelle fabbriche ma anche nelle campagne. Ancora oggi i libri di storia tacciono questa verità. Nessuno ne colse le ragioni più profonde, i fili che collegavano permanenze e cesure antiche a nuove domande di soggettività e di relazioni interpersonali fondate sull’aiuto reciproco e sulla solidarietà.

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Alla fine di un lungo ’68 contadino, una forte emozione suscitarono i fatti di Avola, dove il 2 dicembre di 47 anni fa due braccianti, Angelo Sigona e Giuseppe Scibilia, sono uccisi e altri cinquanta feriti dalla polizia. Scioperavano per ottenere che i miseri salari agricoli fossero almeno eguali all’interno della provincia. Ebbe molta eco nell’opinione pubblica l’uso immotivato delle armi su folle di contadini inermi. Insomma, si ripeté quel moto spontaneo di solidarietà che avevano suscitato gli eccidi perpetrati dalla polizia in occasione delle occupazioni delle terre nel secondo dopoguerra.

Il ’68 contadino era iniziato il primo marzo alla Fiera di Verona, dove alcune centinaia di aderenti alla Coldiretti avevano preso letteralmente d’assedio il tavolo della presidenza di un convegno organizzato dalla loro organizzazione. Protestavano contro il presidente della Coldiretti, Paolo Bonomi, e il ministro dell’Agricoltura, Franco Restivo, per il disinteresse del governo nei confronti dell’agricoltura. Lanciarono cartocci di tetrapak pieni di latte, uova e ortaggi di vario tipo e dimensione. Non smisero il tiro a bersaglio fino a quando non intervennero le forze dell’ordine.

Per tutta la primavera del ’68, la mobilitazione nelle campagne divenne sempre più viva ed estesa. E sfociò, per iniziativa dell’Alleanza dei contadini, nella “manifestazione nazionale dei sessantamila”, che si svolse il 5 luglio a Roma. Memorabile rimase anche la forte e coesa mobilitazione dei viticoltori che si sviluppò nelle strade di Asti, dentro e fuori la città, in cinque “giornate di lotta” con l’impiego di miglia di trattori. Per tentare di spegnere la protesta venne impiegato lo schieramento delle forze di polizia in tenuta antisommossa la cui imponenza era del tutto ingiustificata. La radicalità dei comportamenti e l’atteggiamento repressivo della polizia furono un tratto comune di tutte le azioni di lotta che in quel periodo si misero in scena nelle città e nelle campagne.

Ma nessuno ne colse le ragioni più profonde, i fili che collegavano permanenze e cesure antiche a nuove domande di soggettività e di relazioni interpersonali fondate sull’aiuto reciproco e sulla solidarietà. E il fatto che il ’68 non si svolse solo nelle università e nelle fabbriche ma anche nelle campagne, continua ad essere taciuto nei libri di storia.

Lo scontro di Avola è stato messo in relazione, da alcuni storici, anche alla “strategia della tensione” che settori decisivi dell’apparato statale e dei gruppi dirigenti politici ed economici stavano avviando per respingere la domanda di cambiamento. Una domanda profonda che permeava l’insieme della società nel suo complesso.

 

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