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il metodo di elezione resta ancora prevalentemente impostato sulla base di campagne elettorali nazionali. Ma la novità dell’indicazione dal candidato alla presidenza della Commissione da parte di sei partiti europei poteva essere meglio valorizzata confrontando le rispettive proposte.
Oggi si vota per le elezioni europee. Noi siamo l’ultimo paese dell’Unione europea a farlo. Hanno cominciato giovedì gli elettori del Regno Unito e dei Paesi Bassi e poi gli altri.
Cinque partiti europei hanno annunciato i loro candidati alla presidenza della Commissione: l’ex premier del Lussemburgo Jean-Claude Juncker (popolari), il presidente del parlamento europeo Martin Schulz (socialisti), l’ex premier belga Guy Verhofstadt (Alde), José Bové e Ska Keller (verdi) e il leader del partito greco Syriza, Alexis Tsipras (Sinistra europea).
Oggi si vota per i candidati al parlamento europeo ma si dà un’indicazione anche per la presidenza dell’Europa. Purtroppo la stampa e la televisione non hanno chiarito questo aspetto importante. Ancora oggi, nel suo consueto “sermone” domenicale, Eugenio Scalfari ci ha spiegato perché vota Renzi nonostante non lo ami. Ma si è dimenticato di dire che votando i candidati del PD sostiene la candidatura del socialista Schulz alla presidenza della Commissione europea. Non lo ha mai nominato.
È vero che il metodo di elezione resta ancora prevalentemente impostato sulla base di campagne elettorali nazionali. Ma la novità dell’indicazione dal candidato alla presidenza della Commissione da parte di sei partiti europei poteva essere meglio valorizzata confrontando le rispettive proposte.
Nel dare nuova linfa alla costruzione dell’Europa unita, molti elettori di orientamento riformista, per la prima volta, voteranno insieme un socialista, Martin Schulz. Questa mi sembra la grande novità. L’inizio della costruzione di un vero soggetto politico europeo.
Dobbiamo prepararci ad una larga astensione. Facciamolo con rispetto. Continuare a considerare l’astensione dal voto come mancanza di senso civico, indifferenza, qualunquismo, addirittura irresponsabilità e non come espressione di radicale dissenso nei confronti di una specifica offerta politica, in una determinata consultazione elettorale, appartiene ad una cultura tipicamente paternalistica e autoritaria, propria della Repubblica dei partiti.
È noto che in Assemblea costituente si scontrarono fondamentalmente due posizioni: quella della Democrazia cristiana che voleva il voto obbligatorio con sanzioni penali per chi si sarebbe astenuto e quella dei socialisti e laici che erano per la libertà di voto, intesa non solo nel senso di poter votare in segreto, ma anche di esercitare o meno la facoltà di votare. Alla fine del dibattito si giunse a un compromesso: quello di considerare il voto non già obbligatorio ma un dovere civico. Un compromesso. Non un convinto comune sentire. A questa posizione si accodò immediatamente anche il Partito comunista, il quale vide nel voto come atto civico un mezzo formidabile per costruire il partito di massa e dare un impulso molto robusto alla partecipazione elettorale.
Giulio Andreotti presentò un emendamento che così si esprimeva: “…il voto è un dovere civico e morale”. Palmiro Togliatti lo invitò a ritirarlo perché gli parve esagerato dare addirittura un significato etico al voto.
Una coscienza laica dovrebbe considerare l’astensione come libera manifestazione del dissenso più profondo che un cittadino può manifestare in un determinato momento della vita del paese e, in questo caso, dell’Europa, senza per questo dover subire contumelie e scherno da parte di chicchessia.